La trilogia di Valis – Philip K. Dick

SINTESI DEL LIBRO:

L’esaurimento nervoso di Horselover Fat cominciò il giorno in cui ricevette
la telefonata di Gloria, con cui gli chiedeva se avesse del Nembutal. Lui le
domandò perché lo volesse, e lei rispose che aveva intenzione di uccidersi.
Immediatamente Horselover Fat balzò alla conclusione che quello fosse un
suo sistema per chiedere aiuto. Era da anni un’illusione di Fat quella di poter
aiutare la gente. Il suo psichiatra una volta gli aveva detto che per star bene
avrebbe dovuto fare due cose: rinunciare alle droghe (cosa che non aveva
fatto) e smetterla di cercare di aiutare la gente (cercava ancora di aiutare la
gente).
In effetti, non aveva del Nembutal. Non aveva sonniferi di alcun genere. Non
usava mai sonniferi. Usava stimolanti. Perciò fornire a Gloria un sonnifero con
cui uccidersi era al di là delle sue possibilità. E comunque, anche se avesse
potuto, non l’avrebbe fatto.
«Ne ho dieci pillole» disse. Perché se le avesse detto la verità, lei avrebbe
riattaccato.
«Allora vengo da te» disse Gloria con voce calma e ragionevole. Lo stesso
tono con cui aveva chiesto le pillole.
Lui si rese conto allora che lei non chiedeva aiuto. Cercava di morire. Era
completamente pazza. Se fosse stata in possesso delle sue facoltà, si sarebbe
resa conto della necessità di nascondere le sue intenzioni, perché in quel modo
lo rendeva suo complice. Accontentarla, avrebbe voluto dire che la desiderava
morta. Non esisteva motivo alcuno perché lui, o chiunque altro, desiderasse
una cosa del genere. Gloria era una persona gentile e educata, ma prendeva un
sacco di acido. Era evidente che l’acido, dall’ultima volta che l’aveva sentita, sei
mesi prima, le aveva ridotto il cervello in poltiglia.
«Come te la sei passata?» chiese Fat.
«Sono stata al Mount Zion Hospital, a San Francisco. Avevo cercato di
ammazzarmi, e mia madre mi ha fatto internare. Mi hanno dimesso la
settimana scorsa.»
«Sei guarita?» chiese lui.
«Sí» disse lei.
Fu allora che Fat cominciò a scivolare nella pazzia. Allora non se ne accorse,
ma era stato attirato in un innominabile gioco psicologico. Non c’era via di
uscita. Gloria Knudson l’aveva rovinato, lui, il suo amico, insieme al proprio
cervello. Probabilmente nel frattempo aveva rovinato sei o sette altre persone,
tutti amici che l’amavano, con analoghe conversazioni telefoniche. Aveva senza
dubbio distrutto suo padre e sua madre. Fat sentí nel suo tono razionale l’arpa
del nichilismo, la vibrazione del vuoto. Non aveva a che fare con una persona;
c’era un fascio di riflessi all’altro capo del filo.
Quello che allora non sapeva, era che impazzire talvolta è una reazione
appropriata alla realtà. Ascoltare Gloria che chiedeva razionalmente di morire
fu come inalare il contagio. Era una trappola cinese per dita: piú forte si tira
per uscirne, piú la trappola si stringe.
«Dove sei adesso?» chiese lui. «A Modesto. A casa dei miei.»
Dal momento che lui abitava nella Contea di Marin, erano parecchie ore di
macchina. Poche ragioni avrebbero potuto indurlo a fare un simile viaggio.
Un’altra dimostrazione di pazzia: tre ore di viaggio ad andare e tre a tornare,
per dieci Nembutal. Perché non schiantarsi semplicemente in macchina?
Gloria non stava neppure commettendo il suo atto irrazionale razionalmente.
Grazie Tim Leary, pensò Fat. Tu e le tue gioie dell’espansione di coscienza
attraverso le droghe.
Non sapeva che anche la sua vita era appesa a un filo.
Quello era il 1971. Nel 1972 sarebbe stato su a nord, a Vancouver, Colombia
Britannica, cercando di uccidersi, solo, povero e spaventato, in una città
straniera. In quel momento, quella conoscenza gli era risparmiata. Tutto quello
che voleva fare era indurre Gloria ad andare a Marin County, per poterla
aiutare. Una delle piú grandi benedizioni di Dio è che ci tiene perennemente
nascosto il futuro. Nel 1976, completamente folle di dolore, Horselover Fat si
sarebbe tagliato i polsi (essendo fallito il tentativo di suicidio di Vancouver),
dopo aver preso quarantanove pasticche di digitaleina ad alta concentrazione,
ed essersi seduto in un garage chiuso, con il motore della macchina in moto... e
anche questa volta gli sarebbe andata male. Il corpo possiede poteri
sconosciuti alla mente, la mente di Gloria aveva il controllo totale del suo
corpo; lei era razionalmente pazza.
La maggior parte delle pazzie si manifesta in forme bizzarre e teatrali. Uno si
mette in testa una pentola, un asciugamano intorno alla vita, si dipinge di rosso
ed esce di casa. Gloria era calma come sempre; cortese ed educata. Se fosse
vissuta nell’antica Roma o in Giappone, nessuno l’avrebbe notata.
Probabilmente le sue capacità di guida rimanevano intatte. Si sarebbe fermata a
ogni semaforo rosso e non avrebbe superato i limiti di velocità... lungo la
strada per andare a prendere le dieci pillole di Nembutal.
Io sono Horselover Fat, e sto scrivendo in terza persona per amore di
obiettività. Non ero innamorato di Gloria Knudson, ma mi piaceva. A
Berkeley, lei e suo marito avevano dato feste eleganti, e io e mia moglie
venivamo sempre invitati. Gloria impiegava ore per preparare piccoli
sandwich, e serviva vini diversi, si vestiva elegante ed era molto carina, con i
capelli corti color sabbia, a riccioli.
Comunque, Horselover Fat non aveva Nembutal da darle, e una settimana
dopo Gloria si buttò da una finestra al decimo piano del Synanon Building, a
Oakland, California, e si spiaccicò sul marciapiede del MacArthur Boulevard.
E Horselover Fat proseguí nella sua lunga, insidiosa discesa nel dolore e nella
malattia, in quel tipo di caos che gli astrofisici dicono attenda l’intero universo.
Fat era avanti al suo tempo, avanti all’universo. Alla fine si dimenticò quale
evento avesse dato inizio alla discesa nell’entropia; Dio, misericordiosamente,
ci nasconde il passato, oltre al futuro. Per due mesi, dopo aver saputo del
suicidio di Gloria, aveva pianto, e guardato la TV, e preso quantità sempre
maggiori di droga. Anche il suo cervello stava andando a pezzi, ma lui non lo
sapeva. Infinita è la misericordia del Signore.
In verità, Fat aveva perso sua moglie, l’anno prima, a causa di una malattia
mentale. Era come un’epidemia. Nessuno poteva dire in che misura fosse
dovuta alle droghe. Quegli anni in America (fra il 1960 e il 1970), e questo
posto, la zona della baia di San Francisco nella California del Nord, erano una
totale fregatura. Mi dispiace dirvelo, ma è la verità. Termini eleganti e teorie
elaborate non possono nascondere questo fatto. Le autorità divennero
psicotiche quanto coloro a cui davano la caccia. Volevano rinchiudere tutti
quelli che non erano cloni del sistema. Le autorità erano piene di odio. Fat
aveva visto poliziotti guardarlo con la ferocia di mastini. Il giorno in cui
avevano trasferito Angela Davis, la marxista negra, dalla prigione di Marin
County, le autorità avevano smantellato l’intero centro civico. Per disorientare i
radicali, caso mai volessero mettere in scena qualcosa. Gli ascensori erano stati
staccati; le targhe sulle porte cambiate con indicazioni fasulle; il procuratore
distrettuale si era nascosto. Fat vide tutto. Era andato al centro civico, quel
giorno, per restituire un libro. Al cancello elettronico dell’ingresso due
poliziotti avevano aperto il libro e le carte che Fat aveva con sé. Rimase
perplesso. L’intera giornata lo rese perplesso. Alla tavola calda, un poliziotto
armato sorvegliava tutti quelli che mangiavano. Fat tornò a casa in taxi, avendo
paura della sua macchina e chiedendosi se per caso era impazzito. Lo era, ma
anche tutti gli altri.
Io di professione faccio lo scrittore di fantascienza. Mi occupo di fantasie. La
mia vita è una fantasia. Tuttavia, Gloria Knudson giace in una tomba di
Modesto, California. C’è una foto della sua corona funebre nel mio album di
fotografie. È una foto a colori, e i fiori sono molto belli. Sullo sfondo è
parcheggiata una Volkswagen. Mi si vede mentre mi infilo nella VW. Non ce la
faccio piú.
Dopo il servizio accanto alla tomba, l’ex marito di Gloria, io e un amico suo
(e di Gloria) in lacrime, pranzammo in un ristorante di lusso, vicino al cimitero.
La cameriera ci fece sedere in fondo al locale, perché avevamo l’aria di hippie,
malgrado la giacca e la cravatta. Non ce ne fregava niente. Non ricordo di cosa
parlammo. La sera prima Bob e io (voglio dire, Bob e Horselover Fat) eravamo
andati in macchina a Oakland, a vedere Patton. Appena prima del servizio, Fat
aveva incontrato per la prima volta i genitori di Gloria. Come la figlia defunta,
si comportarono con lui con la piú grande cortesia. Un certo numero di amici
di Gloria si era raccolto nel soggiorno stile ranch della California,
rammentando la persona che li univa. Naturalmente la signora Knudson era
troppo truccata; le donne si truccano sempre troppo quando muore qualcuno.
Fat accarezzò il gatto della ragazza morta, Presidente Mao. Ricordava i pochi
giorni che Gloria aveva trascorso con lui dopo il suo inutile viaggio per le
pastiglie di Nembutal che lui non aveva. Accolse la rivelazione della bugia con
calma, quasi con indifferenza. Quando una sta per morire, non si preoccupa di
piccolezze.
«Le ho prese io» aveva detto Fat, aggiungendo bugia a bugia. Decisero di
andare sulla spiaggia, la grande spiaggia oceanica della penisola di Point Reyes.
Usarono la VW di Gloria, e lei guidò (non gli venne in mente che lei potesse
impulsivamente andarsi a schiantare con lui sulla macchina) e un’ora dopo
erano seduti insieme sulla sabbia, fumando erba.
Quello che desiderava sapere, piú di ogni altra cosa, era perché lei volesse
uccidersi.
Gloria indossava dei jeans lavati piú volte e una maglietta con la faccia
sogghignante di Mick Jagger. La sabbia era fine, e lei si tolse le scarpe. Fat notò
che aveva le unghie dei piedi dipinte di rosa, perfettamente curate. Fra sé
pensò: Morí come era vissuta.
«Loro mi hanno rubato il conto in banca» disse Gloria. Dopo un po’, Fat si
rese conto, dal suo racconto lucido e misurato, che questi ‘loro’ non esistevano.
Gloria lo mise di fronte a un quadro di totale e coordinata pazzia, lapidario
nella sua costruzione. Aveva riempito ogni dettaglio con strumenti precisi
come quelli di un dentista. Non esisteva un solo spazio vuoto nel suo
resoconto. Non gli riuscí di scovare alcun errore, tranne naturalmente nella
premessa: ossia che tutti la odiavano, le volevano fare del male, e che lei non
valeva niente da nessun punto di vista. Mentre parlava, cominciò a scomparire.
Lui la guardò andarsene; era stupefacente. Gloria, nel suo tono pacato, si
cancellò dall’esistenza, parola dopo parola. Era la razionalità al servizio di...
be’, pensò, al servizio del non-essere. La sua mente si era trasformata in una
grande, efficace gomma per cancellare. Tutto ciò che realmente rimaneva, in
quel momento, era il suo guscio; vale a dire: il suo corpo privo di occupante.
È già morta, si rese conto quel giorno sulla spiaggia. Dopo che ebbero
fumato tutta la loro erba, camminarono un po’, facendo commenti sulle alghe
e sull’altezza delle onde. I gabbiani gracchiavano sopra le loro teste, volando
come frisbee. C’era della gente che sedeva o camminava, qua e là, ma la
spiaggia era deserta. Dei cartelli mettevano in guardia dal rischio della risacca.
Fat, per tutto l’oro del mondo, non riusciva a capire perché Gloria non si
buttava semplicemente in mare. Non gli riusciva di entrarle nella testa. Tutto
quello a cui lei poteva pensare era il Nembutal che le serviva, o che
immaginava le servisse.

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