La via della leggerezza. Perdere peso nel corpo e nell’anima- Franco Berrino

SINTESI DEL LIBRO:
Ci sono persone che vogliono rendere pesante la vita agli uomini,
per nessun altro motivo se non quello di offrir loro in seguito le
proprie ricette per l’alleviamento della vita.
FRIEDRICH NIETZSCHE
Siamo appesantiti. Nel corpo, nel girovita, nelle spalle, nei pensieri,
nel vivere; dalla sofferenza, dalla noia, dalla mancanza di fiducia, di
prospettive, dalla solitudine, dal non vedere il senso della vita. La
pancia gonfia, le ginocchia che fanno male, la periartrite, la cacca che
non facciamo da tre giorni, la sciatica, il pensiero dei genitori anziani,
la mamma che non c’è più con la testa, la badante che va in vacanza, il
figlio che non studia, le bollette da pagare, il dubbio se conviene di
più TIM o Vodafone. Più che il disagio fisico, la pesantezza e i dolori
del corpo, il troppo lavoro – oltre ai figli, al marito, ai genitori, ai
suoceri – quello che appesantisce sono la fatica mentale, morale, il
piombo delle preoccupazioni, dell’insoddisfazione.
Magari, se mi ammalassi, potrei occuparmi finalmente di me.
La soluzione? Il digiuno.
Il digiuno dagli alimenti pesanti, dai pensieri pesanti, dai veleni
emozionali, dalle abitudini di vita sedentaria.
Il cervello degli animali, e dell’uomo, si è evoluto fino alla
meravigliosa complessità attuale – che i neuroscienziati sono ancora
ben lontani dal comprendere a fondo – grazie a un’infinità di stimoli
ambientali, di pericoli incontrati, di difficoltà, di gratificazioni. Uno
dei principali motori dell’evoluzione del cervello è stata la ricerca del
cibo. Per ottimizzare la loro performance nel trovare da mangiare,
tutti gli animali hanno dovuto sviluppare capacità di movimento e di
resistenza fisica, capacità di sopravvivere al digiuno mantenendo la
lucidità mentale necessaria alla ricerca del cibo, quindi capacità
intellettuali e sociali. Nella storia dell’umanità, e in quella dei nostri
antenati preumani, ci sono sempre stati periodi di carestia, di fame.
Quando eravamo cacciatori-raccoglitori non c’erano obesi. E non
esistono animali selvatici obesi. Se oggi tendiamo a ingrassare è
probabilmente perché nei nostri geni, nel nostro DNA, si sono
strutturate istruzioni per mangiare molto ogniqualvolta da mangiare
c’è (perché domani potrebbe non essercene). È la ragione per cui
anche i nostri cani e i nostri gatti diventano obesi. Siamo i figli dei
sopravvissuti alle carestie, e quando c’è carestia muoiono prima i
magri che i grassi. Il Padre Eterno non aveva previsto che ci sarebbe
stato un tempo, per una frazione dell’umanità, in cui il cibo sarebbe
stato disponibile ogni giorno, in quantità illimitata, senza necessità di
impegno fisico per procurarselo, semplicemente scendendo al
supermercato sotto casa. Il supermercato non è creatura di Dio.
La Natura non ci ha fornito strumenti, meccanismi fisiologici, per
difenderci dal troppo cibo.
Oggi che nelle nostre società non c’è più bisogno neanche di fatica
fisica per trovare cibo, l’unica possibilità che ci resta è l’intelligenza di
evitare il supermercato, la scelta contro natura di mangiare meno e di
faticare di più.
Proprio perché si è evoluto per la ricerca del cibo, il cervello
funziona meglio se siamo costretti a digiunare, e il suo buon
funzionamento è facilitato dall’esercizio fisico, che per centinaia di
migliaia di anni ci è stato necessario per procurarci il cibo. In realtà il
cervello, che è l’organo che consuma più glucosio e più ossigeno, entra
in crisi quando non c’è da mangiare, e il livello di glucosio nel sangue
scende: ci manda segnali di fame e ci costringe a cercare subito
nutrimento, in particolare zuccheri. Se il digiuno si prolunga, tuttavia,
si attivano meccanismi di emergenza: cominciamo a consumare i
nostri grassi e, bruciando grassi, produciamo corpi chetonici, che le
cellule nervose sono capaci di utilizzare come fonte di energia con
grande efficienza; produciamo in particolare acido
betaidrossibutirrico, che protegge il cervello riducendo lo stato
infiammatorio. Gli studi su modelli animali dimostrano chiaramente
che il digiuno e l’attività fisica favoriscono l’efficienza dei circuiti
nervosi e prevengono anche la depressione, l’ansia e l’accidia.
L’esercizio fisico produce endorfine, le quali agiscono sul cervello
come farmaci gratificanti che ci incoraggiano a continuare a
camminare fino a quando non riusciremo a catturare la preda. Lo
sanno bene i jogger, drogati della corsa, che non possono fare a meno
di correre (anche se non lo fanno per procurarsi il cibo). Anche chi
pratica il digiuno per ragioni religiose o di salute sa bene che dopo
qualche giorno, quando non c’è più traccia di glucosio nel corpo e si
comincia a consumare i grassi di riserva, la mente è lucida, produttiva,
come doveva essere quando il digiuno non era scelto per potenziare la
salute, bensì obbligato dalla difficoltà di trovare cibo. Gran parte degli
animali selvatici, ancora oggi, trascorrono lunghi periodi di digiuno,
ed è verosimile che questi intervalli senza cibo contribuiscano a
mantenerli in salute. La mancanza di sobrietà alimentare e di esercizio
fisico sono alla base di patologie croniche come l’obesità e il diabete, a
loro volta causa di malattie cardiovascolari, di molti tipi di neoplasie e
di malattie neurodegenerative. Paradossalmente un po’ di fame e di
fatica fisica, che il cervello vorrebbe farci evitare, possono mantenerlo
sano ed efficiente fino all’età anziana.
Cavie da appartamento
Il nostro stile di vita è molto simile a quello dei topi di laboratorio, che
vivono in piccole gabbie dove possono mangiare quanto vogliono,
non hanno spazio né attrezzi per fare esercizio e sono in compagnia di
soli cinque o sei altri topi, quindi hanno minime interazioni sociali,
proprio come noi nelle nostre famiglie nucleari e nel nostro lavoro di
ufficio.
Una recente revisione degli studi scientifici sugli effetti dello stile di
vita dei topi e dei ratti sulla funzionalità e plasticità cerebrale
1 osserva
che:
se si mette loro a disposizione una ruota dove possono correre
(normalmente lo fanno per pochi minuti più volte al giorno)
hanno migliore memoria e capacità di apprendimento,
sviluppano più neuroni e più sinapsi (collegamenti) fra i neuroni
dell’ippocampo. L’esercizio, inoltre, previene l’ottundimento
mentale causato anche nei roditori da una dieta troppo ricca di
zuccheri e grassi, e previene apatia e depressione. Anche gli studi
sull’uomo dimostrano che l’esercizio fisico riduce ansia e
depressione;
gli stessi risultati di miglioramento delle funzioni e di
arricchimento delle connessioni fra cellule nervose sono stati
osservati nei roditori a cui si dava da mangiare il 30% in meno di
quello che avrebbero assunto se avessero avuto una disponibilità
illimitata di cibo o a cui si dava da mangiare un giorno sì e uno
no. Erano molto più capaci di cavarsela nei labirinti. Questi stessi
animali vivono più a lungo e si ammalano meno di cancro. Al
contrario, gli animali che con la dieta abituale diventano diabetici
mostrano una molto ridotta connessione fra le cellule nervose
dell’ipotalamo (una ridotta arborizzazione dendritica);
è chiaro che la difficoltà di trovare cibo, la necessità di correre per
difendersi da predatori e la conseguente migliore intelligenza
operativa hanno rappresentato un vantaggio di sopravvivenza
per gli animali selvatici. Allevando i roditori in gabbie molto
grandi, con più conviventi, molti spazi da esplorare, possibilità di
muoversi in percorsi accidentati, anfratti per nascondersi e con
ruote per correre, si migliora notevolmente la neuroplasticità (la
capacità del cervello di adattarsi con nuove ramificazioni
dendritiche e nuove connessioni sinaptiche a cambiamenti
ambientali), il benessere psicologico (meno ansia e depressione) e
l’intelligenza per trovare l’uscita dai labirinti.
Più studi epidemiologici hanno riscontrato che le persone che fanno
attività fisica si ammalano meno di demenza senile, di morbo di
Alzheimer e di morbo di Parkinson. In particolare, chi pratica sport o
esercizi fisici in età media e chi in età media ha un buon livello di
fitness cardiorespiratoria si ammala meno. Non ci sono studi di
restrizione calorica, ma una dozzina di indagini hanno coerentemente
riscontrato che i diabetici si ammalano di più di Alzheimer (sono
diabetici di tipo 2, che si sono ammalati dopo anni di mangiar male, di
mangiar troppo e di vita sedentaria). Si sa, inoltre, che chi in età media
ha la pancia ha un rischio due-tre volte superiore di ammalarsi di
Alzheimer in età anziana. Il primo studio era stato condotto in
California presso gli associati alla Kaiser Permanente, che proponeva
uno screening multifasico in cui si misurava quanto sporgeva
l’addome delle persone sdraiate sul lettino. Dopo oltre trent’anni si
valutò quanti dei partecipanti avevano sviluppato il morbo di
Alzheimer e si vide che l’incidenza era proporzionale al diametro
addominale di trent’anni prima. Seguirono numerose altre conferme.
Anche i modelli animali in cui si inducono malattie neurodegenerative
in roditori (Alzheimer, Parkinson, Huntington) dimostrano
inequivocabilmente che esercizio fisico, digiuno intermittente e vita in
ambienti ampi e stimolanti riducono l’insorgenza dei difetti cognitivi
che caratterizzano queste malattie. I meccanismi biologici con cui
questi aspetti dello stile e dell’ambiente di vita migliorano la plasticità
cerebrale sono molteplici, ma tre dei più importanti sono la riduzione
dello stress ossidativo, la riduzione dello stimolo infiammatorio sul
sistema nervoso e l’attivazione dell’autofagia (il processo per cui le
cellule affamate dalla restrizione calorica consumano tutto quello che
trovano dentro di sé e che non serve alla loro sopravvivenza,
comprese le proteine anomale che si depositano nelle cellule nervose,
caratteristica di tutte le malattie neurodegenerative).
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