La leggenda del santo bevitore- Joseph Roth 

SINTESI DEL LIBRO:

 «Il figlioletto del postino Andreas Wanzl aveva il viso più singolare che un
bambino possa avere a questo mondo.
La sua faccetta pallida, smunta, dai lineamenti marcati, che un serio naso
aquilino accentuava ancor di più, era coronata da un ciuffo quanto mai esiguo
di capelli d'un giallo quasi bianco.
Un'alta fronte troneggiava incutendo rispetto sopra le due sopracciglia
bianche, che sì e no si vedevano, e sotto a questi due occhiolini infossati,
celesti, scrutavano il mondo seri e saccenti.
Un che di testardo adagiava le labbra sottili, premute strette, pallide,
mentre un bel mento regolare concludeva il viso con autorità.
La testa era piantata su un collo esile, tutta la sua corporatura era gracile e
delicata. Solo le mani, rosse, forti, che ciondolavano come non fossero ben
fissate ai sottili e fragili polsi, contrastavano stranamente con la sua figura.
Anton Wanzl era sempre vestito con proprietà e pulizia. Non un granello
di polvere sulla sua giacchetta, né un minuscolo buco nel calzino, non una
piccola cicatrice né un graffio sul suo visetto pallido e liscio.
Anton giocava di rado, non si azzuffava mai coi ragazzi e non rubava
mele rosse dall'orto del vicino.
Anton studiava e basta.
Studiava dalla mattina fino a tarda notte.
I suoi libri e quaderni erano ricoperti con ogni riguardo di crepitante carta
bianca da avvolgere, e sulla prima pagina, a caratteri stranamente aggraziati e
minuti per un bambino, c'era scritto il suo nome.
Le sue brillanti pagelle, solennemente ripiegate in una grossa busta rosso
mattone, erano riposte proprio accanto all'album con i più meravigliosi
francobolli, per i quali Anton era invidiato quasi più che per le sue pagelle.
Anton Wanzl era il ragazzo più tranquillo di tutto il luogo. A scuola
sedeva zitto a braccia «conserte», com'era prescritto, e fissava con i suoi
occhiolini saccenti la bocca del maestro. S'intende che era il primo della
classe.
Era portato sempre ad esempio a tutta la classe, i suoi quaderni non
presentavano segni rossi, a eccezione dell'energico ottimo, che regolarmente
brillava sotto tutti i suoi lavori. Anton dava risposte pacate, pertinenti, era
sempre preparato, mai ammalato. Sedeva al suo posto nel banco come fosse
inchiodato. La cosa più spiacevole per lui erano gli intervalli.
Allora tutti dovevano uscire, si arieggiava la stanza, solo il capoclasse
rimaneva. Anton invece stava fuori nel cortile, si stringeva timido al muro e
non osava fare un passo per paura di essere urtato e buttato per terra da uno
dei ragazzi che correvano schiamazzando.
Ma quando sonava la campagna, Anton tirava un respiro di sollievo.
Compassato come il suo direttore si avviava dietro la frotta vociante degli
scolari, compassato si sedeva nel banco, non scambiava una parola con
nessuno, si alzava dritto come un fuso e ricadeva come un automa sul sedile
non appena il maestro aveva ordinato «Seduti».
Anton Wanzl non era un bambino felice. Una bruciante ambizione lo
divorava.
Una volontà ferrea di brillare, di superare tutti i suoi compagni, quasi
prostrava le sue deboli forze.
Per intanto Anton aveva un solo scopo. Voleva diventare capoclasse.
A quel tempo, infatti, lo era un altro, un allievo meno buono, che però era
il più vecchio della classe e la cui età ragguardevole aveva destato la fiducia
del maestro. Il capoclasse era una specie di sostituto del maestro.
In assenza di questi, l'allievo così insignito doveva stare attento ai suoi
compagni, segnare quelli che facevano chiasso e riferire al maestro, badare
che la lavagna fosse pulita, la cimosa umida e il gesso appuntito, raccogliere
soldi per quaderni, calamai e riparazioni di pareti scrostate e vetri rotti.
Una tale carica faceva un'enorme impressione sul piccolo Anton.
In notti insonni covava truci piani di vendetta, rimuginava a non finire
come potesse scalzare il capoclasse per assumere lui questa onorifica carica.
Un giorno imbroccò l'idea giusta.
Il capoclasse aveva una singolare predilezione per matite e inchiostri
colorati, per canarini, piccioni e pulcini.
Regali di questo genere riuscivano facilmente a corromperlo e il donatore
poteva far chiasso a suo piacimento senza essere denunciato.
Ecco dove Anton voleva intervenire.
Lui regali non ne faceva mai.
Ma c'era un altro ragazzo che non pagava tributi.
Era il più povero della classe.
Siccome il capoclasse non poteva denunciare Anton, perché nessuno lo
riteneva capace di una marachella, il ragazzo povero era la vittima quotidiana
della capoclassesca smania accusatoria.
Qui Anton poteva compiere una brillante operazione. Nessuno avrebbe
sospettato che voleva diventare capoclasse.
No, se lui si prendeva a cuore il ragazzo povero, che veniva bastonato di
santa ragione, e svelava al maestro la scandalosa corruttibilità del giovane
tiranno, per tutti sarebbe stata un azione giusta, onorevole e coraggiosa.
Dopo però nessun altro poteva sperare nel posto vacante di capoclasse se
non appunto Anton.
E così un giorno egli si fece animo e smascherò il capoclasse.
Questi fu subito destituito dalla sua carica, previa somministrazione di
alcuni colpi di canna, e Anton Wanzl solennemente nominato capoclasse.
Ce l'aveva fatta.
Anton era tutto contento quando stava seduto sulla cattedra nera. Era una
sensazione talmente inebriante dominare la classe con lo sguardo da una
rispettabile altezza, scarabocchiare con la manta, di quando in quando
dispensare ammonimenti e giocare un po' alla Provvidenza segnando i nomi
di ignari schiamazzatori, avviandoli alla giusta punizione, e sapendo in
anticipo chi sarebbe stato raggiunto dall'inesorabile destino.
Si ricevevano le confidenze del maestro, si poteva reggergli i quaderni, si
riusciva ad apparire importanti, a godere di una certa considerazione. Ma
l'ambizione di Anton non aveva requie. Sempre una nuova meta aveva
davanti agli occhi. E lavorava con tutte le sue forze.
Eppure non lo si poteva affatto definire un leccapiedi. Esteriormente
conservava sempre la sua dignità, ogni suo piccolo gesto era ben meditato,
con calmo orgoglio usava piccole attenzioni agli insegnanti, li aiutava a
infilarsi il soprabito con la faccia più severa, e tutte le sue blandizie non
davano nell'occhio, ma avevano il carattere di atti d'ufficio

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