Mentre morivo- William Faulkner

SINTESI DEL LIBRO:
Jewel e io veniamo su dal campo per il sentiero, uno dietro l’altro. Benché
io sia cinque metri avanti a lui, uno che ci guardasse dalla baracca del cotone
vedrebbe il cappello di paglia di Jewel, sfondato e sfilacciato, di tutta una
testa sopra il mio.
Il sentiero, liscio a forza di piedi e che ormai, a luglio, è cotto e duro che
sembra di mattone, corre come un filo a piombo tra i filari verdi del cotone
lasciato a fiorire, su fino alla baracca in mezzo al campo, dove svolta e ci gira
intorno facendo quattro angoli retti smussati e riprende per il campo, liscio a
forza di piedi, e si allontana preciso.
La baracca per il cotone è di tronchi grezzi, con lo stucco degli interstizi
che da tempo è venuto via. Quadrata, il tetto sfondato inclinato tutto con la
stessa pendenza, se ne sta lì sbilenca nel sole in vuota e scintillante rovina,
con due unici finestroni alle pareti opposte che danno sull’arrivo del sentiero.
Quando siamo lì, io svolto e seguo il sentiero che gira intorno alla baracca.
Cinque metri dietro, Jewel, guardando diritto davanti a sé, scavalca con un
unico passo la finestra. Sempre fissando davanti a sé, gli occhi pallidi come
legno piantati nel viso legnoso, con quattro lunghi passi traversa il locale
rigido e grave come una di quelle figure d’indiano nelle tabaccherie che abbia
addosso una tuta rattoppata e sia dotata di vita dalle anche in giù, e con un
unico passo scavalca l’altra finestra e riprende per il sentiero mentre io arrivo
girando l’angolo. Uno dietro l’altro, a cinque metri di distanza e con Jewel
ora davanti, risaliamo il sentiero verso la base dello strapiombo.
Vicino alla sorgente, legato alla stecconata, c’è il carro di Tull, le redini
avvolte intorno al montante del sedile. Sul cassone ci sono due seggiole.
Jewel si ferma alla sorgente e dal ramo del salice prende la zucca vuota e
beve. Io gli passo accanto e salgo su per il sentiero, cominciando a sentire la
sega di Cash.
Quando arrivo in cima ha smesso di segare. In mezzo a una distesa di
trucioli, sta facendo combaciare due tavole. Fra una chiazza d’ombra e l’altra
sono gialle come oro, come oro morbido, e sulla superficie portano in lisce
ondulazioni i segni della lama dell’ascia: è un bravo falegname, Cash. Tiene
le due assi sul treppiede a combaciare di taglio e formare un quarto della
cassa finita. Si mette in ginocchio e allinea l’occhio al filo delle assi, poi le
mette giù e prende l’ascia. Un bravo falegname. Addie Bundren non potrebbe
desiderarne una migliore, di casse, migliore per giacervi dentro. Le darà
fiducia e le sarà di conforto. Proseguo verso la casa, seguito dal
Ciac Ciac Ciac
dell’ascia.
CORA
Sicché ho messo da parte le uova e ieri ho infornato. Son venute proprio
bene, le torte. Dipendiamo molto dalle nostre galline. Son brave ovaiole, le
poche che ci son rimaste dopo gli opossum e tutto il resto. Anche serpenti,
l’estate. Un serpente, a far piazza pulita di un pollaio ci mette un nulla.
Sicché, visto che venivano a costare tanto più di quanto pensava mio marito,
il signor Tull, e visto che io avevo promesso che con la differenza nel numero
delle uova avremmo fatto pari, dovevo stare più attenta che mai perché era
stato sulla mia parola che le avevamo prese. Avremmo potuto tenere delle
galline che costavano meno, ma io avevo fatto la mia promessa come aveva
detto la signorina Lawington quando mi consigliò di prendere una razza
buona, perché anche il signor Tull ammette che, alla lunga, una buona razza
di mucche o di maiali conviene sempre. Sicché quando ne abbiamo perse
tante non ci potevamo permettere di usare le uova per noi, perché non volevo
che il signor Tull mi rimproverasse dato che era stato sulla mia parola che le
avevamo prese. Sicché quando la signorina Lawington mi ha detto delle torte
ho pensato di farle e di guadagnare abbastanza tutto insieme da aumentare il
valore del pollaio dell’equivalente di due capi. E che se mettevo da parte un
uovo per volta, anche le uova non ci sarebbero costate niente. E quella
settimana ne hanno fatte tante che non solo ne ho messe da parte abbastanza,
oltre a quelle che ci siamo impegnati a vendere, da poterci fare le torte, ne ho
messe da parte tante che anche la farina, lo zucchero e la legna per la cucina
non ci sarebbero venuti a costare niente. Sicché ieri ho infornato, più attenta
di quanto sia mai stata in vita mia, e le torte son venute proprio bene. Ma
quando siamo arrivati in paese, stamattina, la signorina Lawington mi ha
detto che la signora aveva cambiato idea e la festa non la faceva più.
«Le doveva prendere lo stesso, quelle torte» dice Kate.
«Be’,» dico io «mi sa che ormai non ne aveva più bisogno».
«Le doveva prendere» dice Kate. «Ma quelle riccone di paese si possono
permettere di cambiare idea. La povera gente no».
La ricchezza non è niente agli occhi del Signore, perché Egli legge nel
cuore. «Magari riesco a venderle sabato alla vendita di beneficenza» dico io.
Sono venute proprio bene.
«Mica puoi farci due dollari l’una» dice Kate.
«Be’, non è che mi sian costate» dico io. Le ho messe da parte e ne ho
barattate una dozzina per lo zucchero e la farina. Non è che le torte mi siano
costate perché anche il signor Tull si rende conto che le uova che ho messo
da parte erano parecchie di più di quelle che ci siamo impegnati a vendere,
sicché era come se quelle uova le avessimo trovate o ce le avessero regalate.
«Le doveva prendere lo stesso, quelle torte, visto che è come se ti avesse
dato la sua parola» dice Kate. Il Signore legge nel cuore. Se è Suo volere che
certa gente abbia un’idea diversa dell’onestà da quella di altra gente, non sta a
me contestare la Sua volontà.
«Mi sa che non ne aveva più bisogno» dico. E erano anche venute proprio
bene.
Ha la trapunta tirata su fino al mento, col caldo che fa, e solo le mani e il
viso fuori. Viene tenuta su dal guanciale, la testa sollevata per poter vedere
fuori della finestra, e ogni volta che lui prende l’ascia o la sega lo sentiamo.
Anche se fossimo sorde, a guardare il viso di lei quasi riusciremmo a sentirlo,
a vederlo. Il suo viso scavato è ridotto che le ossa tracciano linee bianche
appena sotto la pelle. Gli occhi sono come due candele quando le guardi
sciogliersi nello scodellino di un candeliere di ferro. Ma la salvezza e la
grazia eterna e imperitura non sono su di lei.
«Son venute proprio bene» dico. «Ma non come le torte che faceva Addie
una volta». Dalla federa si vede come lava e come stira quella ragazza, se mai
è stata stirata. Forse le rivelerà tutta la sua cecità, lì su quel letto in balìa delle
cure di quattro uomini e di una ragazza che è come un maschio. «Non c’è mai
stato nessuno, da queste parti, che sapesse infornare come Addie Bundren»
dico. «Prima che si batta ciglio Addie si rimetterà al forno, e noi potremo
chiuder bottega». Sotto la trapunta non fa più gobba di quanta ne farebbe una
traversina, e l’unica cosa che ci fa capire che sta respirando è il rumore dei
gusci di pannocchia del materasso. Nemmeno i capelli lungo la guancia si
muovono, nemmeno con quella ragazza lì sopra che le fa vento col ventaglio.
Mentre guardiamo cambia il ventaglio di mano senza interrompersi.
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