Nei tuoi occhi – Nicholas Sparks

SINTESI DEL LIBRO:
COLIN Hancock era davanti allo
specchio nel bagno della tavola
calda, la maglietta sollevata per
osservare
la
tumefazione alle
costole. Era sicuro che presto
avrebbe assunto un colore bluastro.
Sentiva una fitta al solo sfiorarla, e
pur sapendo per esperienza che per
un po’ era possibile ignorare il
dolore, si domandava se l’indomani
avrebbe avuto difficoltà a respirare.
La faccia, però…
Quello poteva diventare un
problema, non tanto per lui ma per
gli altri. Di sicuro, al college, le
compagne lo avrebbero guardato
strabuzzando gli occhi e avrebbero
bisbigliato alle sue spalle, senza
prendersi la briga di chiedergli che
cosa fosse accaduto. Nelle prime
settimane all’università , alcune gli
erano sembrate simpatiche, ma
aveva capito subito che nessuna di
loro voleva fare amicizia, né aveva
intenzione di rivolgergli la parola.
La cosa non lo preoccupava. Tanto
per cominciare, avevano sei o sette
anni meno di lui, erano tutte
femmine ed era pronto a
scommettere che avessero avuto una
vita molto diversa dalla sua. Prima o
poi, come tutti gli altri, avrebbero
finito per trarre le loro conclusioni.
Francamente, non valeva la pena
prendersela per questo.
Tuttavia doveva ammettere di
essere particolarmente orripilante in
quel momento. Aveva l’occhio
sinistro gonfio e il destro iniettato di
sangue. In mezzo alla fronte un
taglio era stato medicato con un
cerotto e il livido color piombo sullo
zigomo destro somigliava a una
voglia. A completare il quadro, le
labbra gonfie e spaccate. Quello che
gli serviva era del ghiaccio da
mettere al più presto sul viso,
altrimenti le ragazze non sarebbero
riuscite a concentrarsi in classe. Una
cosa alla volta, però; moriva di fame
e prima doveva riempirsi lo
stomaco. Gli ultimi due giorni non
aveva mangiato molto, e voleva
mandar giù qualcosa di veloce,
economico e, se possibile, che non
fosse proprio una porcheria.
Peccato che a quell’ora della notte
gran parte dei locali fosse già chiusa,
per questo si era ritrovato in una
tavola calda fatiscente ai margini
della superstrada, con le sbarre alle
finestre, macchie di umidità sui
muri, il pavimento di linoleum
rovinato e sgabelli tenuti insieme
con lo scotch. L’unico lato positivo
di quel posto era che nessuno degli
altri clienti aveva badato al suo
aspetto quando era entrato. Da
quanto poteva giudicare, metà della
gente lì dentro stava cercando di
smaltire una sbronza, mentre l’altra
metà , senza dubbio quelli scelti per
guidare, tentava di smaltire una
sbornia un po’ meno pesante.
Era il genere di locale dove
sarebbe stato facile cacciarsi nei
guai e, mentre svoltava per entrare
nel parcheggio sterrato seguito da
Evan con la sua Prius, si era quasi
aspettato di vederlo proseguire. Ma
chiaramente anche il suo amico
aveva pensato la stessa cosa circa i
guai. Era l’unico motivo che lo
avrebbe spinto a mettere piede in un
posto simile, soprattutto di notte.
Evan stonava decisamente in mezzo
a quella folla di tiratardi, con la sua
polo rosa, i calzini a quadri, i
mocassini di cuoio e i capelli biondi
con la riga. Anche la Prius sembrava
un’insegna al neon che lo indicava
come bersaglio ideale per quei bravi
ragazzi dei pick-up che avevano
appena passato la serata a devastarsi.
Colin aprì il rubinetto e si
sciacquò le mani prima di portarsele
al viso. L’acqua era fredda, proprio
come sperava. Si sentiva la pelle in
fiamme. Il marine che aveva
affrontato picchiava molto più forte
di quanto si aspettasse, senza
contare i colpi illegali, ma chi
l’avrebbe mai detto a guardarlo?
Alto e smilzo, taglio militare,
sopracciglia strambe… Non avrebbe
dovuto sottovalutare quel tipo, e
giurò di non ripetere l’errore. In caso
contrario
avrebbe
finito
per
terrorizzare definitivamente le sue
compagne. Mamma, nella mia
classe c’è un tizio che fa paura,
pieno di cicatrici in faccia e di
tatuaggi! gli sembrava di sentirle
dire al telefono. E mi tocca stargli
seduta accanto!
Si scrollò le mani, uscì dal bagno
e vide l’amico al tavolo all’angolo.
Al contrario di lui, Evan sarebbe
stato perfetto per il college. Aveva
ancora una faccia da bambino e,
raggiungendolo, Colin si chiese
quante volte a settimana dovesse
radersi.
«Ci hai messo tanto», commentò
Evan mentre lui si sedeva nel séparé.
«Credevo ti fossi perso.»
Colin si appoggiò allo schienale
in vinile. «Spero che non ti sia
sentito troppo nervoso a stare qui
tutto solo.»
«Ah, ah.»
«Devo farti una domanda.»
«Spara.»
«Quante volte a settimana ti fai la
barba?»
Evan sgranò gli occhi. «Sei stato
al cesso per dieci minuti a pensare
solo a questo?»
«Mi è venuto in mente mentre mi
avvicinavo al tavolo.»
L’altro lo fissò interdetto. «Mi
rado tutte le mattine.»
«Perché?»
«Come perché? Per lo stesso
motivo per cui lo fai tu.»
«Io non faccio così.»
«E poi perché ne stiamo
parlando?»
«Ero curioso e ho chiesto, e tu mi
hai risposto», disse Colin. Senza
badare all’espressione dell’amico,
indicò il menu. «Hai cambiato idea e
hai deciso di ordinare qualcosa?»
Evan scosse il capo. «Nemmeno
per sogno.»
«Non mangi niente?»
«No.»
«Acidità di stomaco?»
«Più che altro il sospetto che
l’ultimo controllo delle cucine
risalga a quando il presidente era
Reagan.»
«Dai, non esagerare.»
«Ma l’hai visto il cuoco?»
Colin gettò un’occhiata nella
direzione del bancone; il cuoco era
lo stereotipo di chi lavorava in
quell’ambiente, con un grembiule
unto teso sul ventre prominente, la
coda di cavallo e gli avambracci
tatuati.
«Mi piacciono i suoi tatuaggi.»
«Sai che sorpresa.»
«È la verità .»
«Lo so. Tu dici sempre la verità .
Questo fa parte del tuo problema.»
«Perché è un problema?»
«Non sempre la gente vuole
sentire la verità . Per esempio,
quando la tua ragazza ti chiede se un
certo vestito la fa sembrare grassa,
tu
dovresti rispondere che è
bellissima.»
«Io non ce l’ho la ragazza.»
«Forse perché all’ultima hai detto
che sembrava grassa invece di
parlare della sua bellezza.»
«Non è quello che è successo.»
«L’importante è che tu abbia
capito il succo. A volte bisogna…
adeguare la verità per andare
d’accordo con le persone.»
«Per quale ragione?»
«Perché è quello che fa la gente
normale. È in questo modo che
funziona la società . Non puoi
sempre dire la prima cosa che ti salta
in mente. Rischi di provocare
disagio e di essere offensivo. E,
giusto per tua informazione, i datori
di lavoro lo detestano.»
«Okay.»
«Non mi credi?»
«Ti credo.»
«Però non ti importa.»
«No.»
«Dato che tu preferisci dire la
verità .»
«Sì.»
«Perché?»
«So che per me è meglio così.»
Evan rimase in silenzio per un
momento. «A volte vorrei essere
come te. Dire al mio capo ciò che
penso veramente di lui senza
preoccuparmi delle conseguenze.»
«Puoi farlo. Sei tu che scegli il
contrario.»
«Ho bisogno dei soldi a fine
mese.»
«È solo una scusa.»
«Forse.» Evan si strinse nelle
spalle. «Ma so che per me è meglio
così. A volte mentire è necessario.
Per esempio, se ti dicessi che ho
visto due scarafaggi sotto il tavolo
mentre eri al bagno, forse
condivideresti la mia opinione circa
l’idea di mangiare qui.»
«Sai che non sei costretto a
rimanere, vero? Me la caverò.»
«Lo credi tu.»
«Devi badare a te stesso, non a
me. E poi, si sta facendo tardi. Non
devi partire per Raleigh con Lily
domani?»
«Domattina presto. Andremo a
messa alle undici con i miei genitori,
e subito dopo fuori a pranzo. Ma al
contrario di te, non faticherò ad
alzarmi. Comunque, hai un aspetto
terribile.»
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