Amistad – La figlia della luna – Francesca Redeghieri

SINTESI DEL LIBRO:
«Avanti, bello, procedi con calma.»
Il terreno era sdrucciolevole per la pioggia caduta in quei lunghi giorni, il
cavallo procedette nella boscaglia quasi avesse intuito il suo pensiero.
Quante volte avevano percorso insieme quei boschi eppure mai come quel
giorno non aveva meta né partenza.
Lo scricchiolare sotto le fiere zampe possenti la fece tornare alla realtà.
Accarezzò il collo muscoloso e sbatté gli occhi sulla foresta profumata che
la circondava, tornando al presente.
Quella era la vita che voleva. Mai, come in quei momenti di solitudine,
apprezzava quell’esistenza pacifica e avventurosa che ogni alba le regalava.
Essere se stessa non era facile, aveva dovuto affrontare scelte che avrebbero
fatto impallidire chiunque, ma d’altronde era questo ciò che il mondo e le
sue sorelle si aspettavano da lei.
Era un’amazzone fiera di esserlo, e non passava giorno in cui quella
fierezza non le riempiva il cuore. Si sentiva parte di un qualcosa di grande e
glorioso che, anche il solo sussurrarlo a fior di labbra, le faceva correre un
brivido lungo la schiena.
A un tratto il cavallo si arrestò e lei udì uno scricchiolio improvviso. Si
guardò intorno circospetta, alla ricerca della fonte di quel rumore.
Il sole stava calando oltre gli alberi e le colline, qualche raggio filtrava
nella boscaglia, rendendo tutto irreale e magico. L’umidità che saliva dalla
terra bagnata e la pallida luce attraversavano le fronde. Lame dorate
facevano brillare la foschia che avvolgeva il bosco di un alone spettacolare.
Pini, faggi, querce e altri arbusti salivano con i loro lunghi rami verso l’alto,
quasi volessero abbracciare il cielo.
Era stata una buona giornata di caccia, anche se si era dovuta spingere
oltre il confine a settentrione per trovare lepri e pernici che le avrebbero
sfamate per almeno un paio di giorni.
Lei era in grado di seguire anche le tracce più invisibili, nulla sfuggiva al
suo sguardo, tanto meno una preda.
Improvvisamente il cavallo fermò il suo passo.
«Che c’è, Guardiano?»
L’animale scrollò il muso immobilizzandosi lungo il sentiero battuto che
la stava portando all’accampamento con il bottino legato alla sella. Era tutto
ciò che era riuscita a trovare in quella lunga giornata.
Guardiano rimase immobile, fissando il vuoto della boscaglia circostante.
Le orecchie dritte, come a percepire anche il più piccolo dei movimenti.
Si fidava di lui e del suo istinto. Avevano affrontato tante battaglie, tante
altre volte si erano trovati in difficoltà, salvandosi reciprocamente. Era così
forte e profondo il loro legame che i comandi, con la voce o con il corpo,
non erano necessari.
Amistad si mise sul chi vive, imitandolo, e cominciò a guardarsi intorno
con tutti i sensi all’erta.
Un movimento furtivo alla sua destra attirò la sua attenzione. Veloce si
sfilò l’arco, togliendo una freccia dalla faretra che aveva legato dietro la
schiena e la incoccò, puntando la cuspide tra la boscaglia.
Guardiano scalpitava e lei cercò di calmarlo con la semplice pressione
delle gambe.
Puntò qua e là tra la vegetazione perché non riusciva a capire da dove
venisse quel calpestio di rami e foglie secche.
I suoi occhi correvano da una fronda all’altra, fino a che notò davanti a lei
una sagoma.
La poca luce che filtrava dall’alto non le permise di distinguerne
nettamente i contorni, ma riconobbe in quella forma che sbucava dalle felci
qualcosa di familiare.
Abbassò l’arco.
«Briseide?»
I
loro sguardi s’incrociarono e si fusero. Ognuno si perse in quello
dell’altra.
La figura che aveva davanti era in netto contrasto con i colori della
boscaglia. Lunghi capelli colore del miele le incorniciavano il viso di un
ovale perfetto. Il naso piccolo e dritto sovrastava una bocca carnosa, ma
quello che più di tutto aveva il potere di illuminarle lo sguardo erano gli
occhi, verdi e scintillanti.
«Amistad, ti credevo già tornata.» Sua sorella Briseide non riuscì a celare
lo stupore per quell’incontro.
«Che cosa fai qui tutta sola e così lontana dall’accampamento?» le
domandò lei, affiancandola lungo il sentiero e restando in sella a Guardiano.
«Niente. Avevo voglia di fare due passi e mi sono messa a camminare
perdendo la nozione del tempo.»
«Salta su» disse allungando il braccio per aiutarla. Briseide lo afferrò
facendosi issare in sella.
Ultimamente l’aveva vista strana e non riusciva a capirne il motivo, si era
fatta distante e sapeva che lo aveva notato anche la loro madre, Clonia. Ne
avevano parlato, senza arrivare però a nessuna conclusione ragionevole.
«Che cosa c’è oltre questa radura, Briseide?» chiese lei, irritata dal suo
silenzio.
«Come, scusa?» rispose l’altra. «Non la conosci forse meglio di me?»
«Hai capito benissimo cosa volevo dire.» Sua sorella si voltò, regalandole
solo un profilo ben distinto.
«Non c’è niente, Amistad, stai tranquilla.»
«Ti vedo diversa da qualche tempo. Siamo gemelle, abbiamo sempre
condiviso tutto e non sapere cosa ti passa per la testa mi fa star male» disse
con un sospiro mentre abbassava appena il capo. «Non riuscire a capire
m’infastidisce e irrita allo stesso tempo. Ho notato che ti allontani spesso
dall’accampamento, di soppiatto. Percepisco che qualcosa ti turba e vorrei
aiutarti.» Fu nell’istante stesso in cui terminò la frase che la sentì irrigidirsi.
«Mi stai controllando, per caso?» Il tono di voce di Briseide mutò
improvvisamente, e con un balzo scese dal cavallo. «Da quando in qua puoi
permetterti di farlo?»
Amistad con un colpo di redini fermò l’andatura di Guardiano.
«Sono tua sorella e, come se non fosse sufficiente, nel nostro esercito
sono anche un grado superiore al tuo» le rispose. «E non voltarmi le spalle
mentre ti parlo.»
Briseide, che aveva ricominciato a camminare spedita, si voltò di scatto
puntando gli occhi verdi nei suoi.
«Te lo ripeto per l’ultima volta, non c’è niente di cui devi preoccuparti,
sorella.»
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