Cartoline dalla fine del mondo. La nuova indagine di Enrico Radeschi – Paolo Roversi 

SINTESI DEL LIBRO:

Il freddo morde e la Madonnina è inghiottita dalla nebbia
mentre Renato Torrisi attraversa a passo veloce piazza Duomo.
Tira un vento gelido che s’infila nella Galleria e frusta la faccia
delle persone. L’uomo si copre il viso col bavero del cappotto,
ansioso di mettersi al riparo.
Cade una pioggia leggera e la città è quasi deserta in questa
sera gelida d’inizio marzo.
L’uomo procede veloce perso nei suoi pensieri. Le vicende degli
ultimi giorni gli hanno causato parecchie preoccupazioni ma si è
imposto di metterle da parte e di distrarsi almeno per qualche
ora.
Giunto davanti all’edificio, la testa inizia a girargli ma non vi dà
molta importanza; è a digiuno dal mattino, forse un calo di
zuccheri. Passa il controllo all’ingresso facendo scorrere sul
display il badge aziendale, quello della TechHackCorp completo
dei suoi dati biometrici e di foto. Lascia il cappotto nel guardaroba
e, sistemandosi il nodo della cravatta scura, si avvia con calma
lungo la rampa bianca a spirale che si avvita su se stessa come un
serpentone per sbucare poi nel salone della festa. Giunto a metà
della salita, mentre gli giungono distinte le risate e il riecheggiare
delle chiacchiere degli invitati, si sente mancare. Si ferma: non
riesce a raggiungere il party memorabile per il quale l’azienda
non ha badato a spese tanto da affittare il salone panoramico del
palazzo dell’Arengario, sede del museo del Novecento. Un
doloroso senso di asfissia lo coglie davanti al quadro intitolato Il
quarto stato. Si sarebbe comunque fermato ad ammirarlo ma
ormai non può: la vista gli si è annebbiata. L’opera è protetta da
una teca di vetro e l’illuminazione artificiale esalta gli uomini e le
donne che vi sono raffigurati. È in quell’istante, mentre stropiccia
gli occhi per mettere a fuoco il capolavoro di Giuseppe Pellizza da
Volpedo, che si accascia a terra.
Gli altri ospiti sono a meno di venti metri da lui e anche gli
uomini della sicurezza che l’hanno fatto entrare non possono
essere che a una decina di secondi di distanza, dietro la curva.
Prova a sbracciarsi mentre crolla sulle ginocchia. Cerca il
cellulare nella tasca della giacca ma anche solo afferrarlo è un
gesto che gli richiede uno sforzo terribile. Digita qualcosa, quattro
caratteri in tutto. Poi il buio.
*
Loris Sebastiani apre gli occhi con fatica. Il cellulare di servizio
vibra sul comodino, accanto a un cestello di ghiaccio in cui
galleggia una bottiglia di vino bianco.
«Merda!» sbotta tirandosi a sedere. È nudo, sudato e, fino a un
secondo prima, completamente rilassato. La serata era cominciata
benissimo: aveva invitato Samantha – ma lei voleva che la si
chiamasse Samy – a casa sua per un aperitivo prima di cena. Era
finita che il vino se l’erano bevuto quasi tutto e di mangiare
ancora non se ne parlava. Quanto al resto, be’, Loris non si poteva
certo lamentare: la sua nuova fiamma – una commessa di Kiko di
appena venticinque anni – si era spinta oltre le sue più rosee
aspettative e adesso lui si sentiva completamente privo di energie.
Versa due bicchieri di Gewürztraminer, gli ultimi della bottiglia,
poi afferra lo smartphone e se lo porta all’orecchio.
«Prega che sia importantissimo» ringhia mentre Samy gli
sorride con un’espressione interrogativa dipinta sul volto.
Non vorrai mica cacciarmi ora?, sembra che dica.
Lui scuote la testa come a rispondere a quella domanda muta.
Dall’altro lato della cornetta, però, c’è molto nervosismo.
«Mi spiace disturbarla, dottore» farfuglia il sovrintendente
Sciacchitano, «siamo all’Arengario ed è morto un uomo.»
«Omicidio?»
«Non è così semplice… Qui è un vero casino. C’è mezza Milano.
E non saprei come…»
«D’accordo. Arrivo subito.»
La fanciulla scuote la testa.
«Te ne devi andare?»
Sbatte gli occhioni verdi. Lunghe ciglia, unghie rosse
curatissime sulle mani e sui piedi. Pube depilato a regola d’arte.
Sebastiani si ficca un sigaro in bocca e comincia a
mordicchiarlo come fa sempre quando è nervoso. Non fuma ma è
un tabagista di riflesso, come si autodefinisce. Si è chiesto un
sacco di volte quanto faccia male quel suo vizio ma non ha mai
voluto approfondire.
«C’è stato un omicidio» la informa.
La ragazza si porta una mano sulla bocca e l’altra a coprirsi il
seno, forse come forma di pudore al cospetto della morte.
«Oh mio Dio ma è orribile! E tu devi vederlo?»
Non è una cima Samy, questo no. Ma compensa col resto e a
Loris Sebastiani, vicequestore, capo della squadra Mobile
milanese, va più che bene.
Per le deduzioni argute, le alzate d’ingegno e i discorsi
corrosivi gli basta (e avanza) la sua ex moglie, Giulia, con cui non
ha mai tagliato davvero i ponti. Anzi, anni prima, dopo la loro
separazione, avevano pure avuto un ritorno di fiamma che però si
era spento così come il loro matrimonio. Giulia aveva un vero
talento nel ribadirgli, più spesso di quanto lui desiderasse e
tollerasse, quanto fosse orrendo il suo lavoro e nell’annaffiargli i
sensi di colpa manco fossero piantine aromatiche allineate in vaso
sul balcone. Forse è per questo che nelle altre donne Loris cerca
qualcosa di diverso; quelle che lui definisce le tre D: Diversivo,
Divertimento, Dabbenaggine. Null’altro. Soprattutto nessuna delle
altre famigerate tre D tanto care alla ex consorte: Discorsi,
Discussioni, Dialoghi. Mai e poi mai.
«Rivestiti» ordina col tono secco che utilizza normalmente coi
suoi subordinati e la mora si affretta a ubbidire. Si mette a
cercare tanga e reggiseno sul pavimento – lì dove lui li aveva
lanciati in preda alla passione di poco prima – e, in un attimo, si
rinfila il vestito corto, audacemente indossato a dispetto del clima
glaciale di quell’inverno milanese. Le calze velate autoreggenti
non le ha tolte così come le scarpe dalle suole rosse finto
Louboutin, come se uno raffinato come Sebastiani non sapesse
riconoscere un falso d’autore tanto evidente. L’effetto complessivo
però non gli dispiace affatto.

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