I figli della libertà – Marc Levy

SINTESI DEL LIBRO:
Devi capire il contesto in cui vivevamo, il contesto è importante;
come per le frasi, che fuori del loro contesto spesso cambiano di
significato. E negli anni a venire, tante frasi saranno estrapolate dal
loro contesto per suffragare giudizi di parte e facili condanne. Un
vizio duro a morire.
All'inizio di settembre l'esercito di Hitler aveva invaso la Polonia,
la Francia gli aveva dichiarato guerra e nessuno metteva in dubbio
che le nostre truppe avrebbero respinto il nemico al confine. Il Belgio
era stato spazzato via dalla forza dirompente delle divisioni blindate
tedesche, e in poche settimane centomila dei nostri soldati sarebbero
morti sui campi di battaglia del Nord e della Somme.
Il maresciallo Pétain fu nominato capo del governo; l'indomani
un generale che rifiutava la sconfitta lanciò da Londra un appello alla
Resistenza. Pétain preferì sancire la resa di tutte le nostre speranze.
Avevamo già perso la guerra.
Stringendo alleanza con la Germania nazista, il maresciallo
Pétain trascinava la Francia in uno dei periodi più bui della sua
storia. La repubblica fu sostituita da quello che, da allora in poi, si
sarebbe chiamato lo Stato francese. Sulla carta geografica fu tracciata
una linea orizzontale e la nazione venne divisa in due zone: il Nord,
occupato, e il Sud, cosiddetto libero. Una libertà relativa. Ogni giorno
faceva la sua comparsa una nuova ondata di decreti che obbligavano
alla precarietà due milioni di stranieri, uomini, donne e bambini, i
quali vivevano in Francia privi ormai di ogni diritto: il diritto di
esercitare il loro mestiere, di andare a scuola, di circolare
liberamente e presto, molto presto, anche del semplice diritto di
esistere.
Eppure la nazione, che adesso sembrava essersene dimenticata,
di questi stranieri venuti dalla Polonia, dalla Romania, dall'Ungheria,
di questi rifugiati spagnoli o italiani aveva avuto un disperato
bisogno. Era toccato a loro ripopolare venticinque anni prima una
Francia privata di un milione e mezzo di uomini, morti nelle trincee
della Grande Guerra. Stranieri appunto, come la quasi totalità dei
miei compagni, e tutti avevano subito le repressioni e i soprusi che
da anni si perpetravano nei loro Paesi. I democratici tedeschi
sapevano chi era Hitler, i combattenti della guerra di Spagna
conoscevano la dittatura di Franco e gli italiani il fascismo di
Mussolini. Erano stati loro i primi testimoni di tutto l'odio, di tutte le
intolleranze, della pandemia che infestava l'Europa con il suo orribile
seguito di morti e miseria. Già allora era chiaro a tutti che la sconfitta
era solo un assaggio, che il peggio doveva ancora arrivare. Ma perché
dare ascolto a chi porta cattive notizie? Adesso la Francia non aveva
più bisogno di loro. Quindi gli esuli giunti da est o da sud venivano
arrestati e internati nei campi.
Pétain non si era limitato ad arrendersi, ma si preparava a
scendere a patti con i dittatori europei, e mentre il Paese si
intorpidiva attorno al vecchio maresciallo, già si facevano avanti il
capo di governo, ministri, prefetti, giudici, gendarmi, poliziotti e
miliziani, l'uno più zelante dell'altro nel compiere il loro orrendo
dovere.
Capitolo 2
Tutto è cominciato come un gioco da ragazzi tre anni fa, il 10
novembre 1940. L'infame maresciallo di Francia, attorniato da alcuni
prefetti cinti di argentee corone di alloro, cominciava a Tolosa il giro
della «zona libera» di un Paese prigioniero della sua disfatta.
Che strano paradosso quelle folle smarrite e stupite con lo
sguardo rivolto al bastone del maresciallo, lo scettro di un vecchio
capo tornato al potere e nel nome di un ordine nuovo. Ma quello di
Pétain sarebbe stato un ordine nuovo fatto di miseria, segregazione,
denunce, omicidi e barbarie.
Alcuni di quelli che presto avrebbero formato la nostra brigata
conoscevano già i campi di prigionia in cui il governo francese aveva
ammassato chiunque avesse avuto il torto di essere straniero, ebreo o
comunista. E nei campi del Sudovest, si trattasse di Gurs, Argelès,
Noé o Rivesaltes, la vita era terribile. Inutile dirti che per chi aveva
amici o famigliari prigionieri l'arrivo del maresciallo in città
rappresentava l'ultimo affronto al poco di libertà che era rimasto.
Poiché la popolazione si preparava ad acclamare Pétain, toccava a
noi dare l'allarme, risvegliare la gente da quella paura che travolge le
masse e le porta ad arrendersi, ad accettare qualsiasi cosa; a tacere e
a giustificare la vigliaccheria con la scusa che il vicino fa così, perché
se il vicino fa così vuol dire che è così che bisogna fare.
Per Caussat, uno dei migliori amici di mio fratello minore, come
per Bertrand, Clouet o Delacourt, di arrendersi e tacere non se ne
parla proprio. La sinistra dà mostra di sé, marciando nelle strade di
Tolosa, che sarà teatro di un'azione esemplare.
Oggi è necessario che qualche parola di verità, di coraggio e
dignità piova sul corteo. Un testo improvvisato, ma capace di
denunciare quel che dev'essere denunciato; e poi cosa importa ciò
che dice o non dice il testo. È più urgente trovare il modo per
diffondere quanti più volantini possibile senza farsi arrestare
immediatamente dalle forze dell'ordine.
I compagni hanno organizzato l'operazione come si deve. Alcune
ore prima della sfilata attraversano Place Esquirol. Hanno le braccia
cariche di pacchi. La polizia è ovunque, ma chi si cura di quattro
adolescenti dall'aria innocente? Eccoli a destinazione: un edificio
all'angolo di Rue de Metz. A quel punto tutti e quattro sgattaiolano
nell'ascensore e salgono fino al tetto con la speranza di non trovarci
nessuna sentinella. L'orizzonte è libero e la città si stende ai loro
piedi.
Caussat costruisce il meccanismo che ha architettato insieme ai
compagni. Sul bordo del tetto sistema un'assicella che oscilla sopra
un trespolo come un'altalena. A un'estremità sistemano la pila dei
volantini che hanno battuto a macchina, all'altra una latta piena
d'acqua. Sul fondo del recipiente hanno fatto un forellino da cui
l'acqua inizia a gocciolare nella grondaia mentre loro filano giù in
strada.
L'auto del maresciallo si avvicina, Caussat alza la testa e sorride.
La limousine decappottabile risale piano piano la strada. La latta sul
tetto è quasi vuota, sempre più leggera, l'assicella si inclina e i
volantini cadono volteggiando nell'aria. Il 10 novembre 1940 è il
primo autunno del maresciallo traditore. Lui guarda il cielo: i
volantini svolazzano e, colmo della felicità per quei ragazzini dal
coraggio improvvisato, alcuni finiscono proprio sulla visiera di
Pétain. La folla si china a raccoglierli. La confusione è generale, la
polizia corre da tutte le parti e nessuno sa che quei ragazzi non
acclamano il corteo come tutti, ma stanno, invece, festeggiando la
loro prima vittoria.
Si sono sparpagliati, e ora si allontanano. Rientrando a casa
quella sera, Caussat non può immaginare che, denunciato, tre giorni
dopo sarà arrestato e passerà due anni nelle prigioni della centrale di
Nîmes. Delacourt non sa che qualche mese dopo, braccato, sarà
freddato dai poliziotti francesi in una chiesa di Agen dove si era
rifugiato; Clouet non può intuire che l'anno successivo sarà fucilato a
Lione; quanto a Bertrand, invece, nessuno troverà mai il fazzoletto di
terra sotto cui riposa. Quando Caussat uscirà dal carcere, con i
polmoni divorati dalla tubercolosi, si unirà alla Resistenza. Arrestato
di nuovo, stavolta verrà deportato. Morirà a Buchenwald a ventidue
anni.
Vedi bene che per i nostri compagni tutto era cominciato come un
gioco da ragazzi, ragazzi che non avrebbero avuto il tempo di
diventare adulti.
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