Francamente me ne infischio – Grazia Cioce

SINTESI DEL LIBRO:
Le sette e cinquanta: il mio orario preferito. Tutto tace, nessun
molesto chiacchiericcio in sottofondo: solo silenzio e il piacevole
odore della carta.
Ah, la carta! Profuma di storia e posti lontani, di magia e
sentimento. I libri sono la mia passione e ne sono circondata: lavoro
in una libreria nel centro di Milano e mi sto godendo questi preziosi
dieci minuti prima dell’apertura. La quiete prima della tempesta.
«Qualcuno oggi ha pulito la videocamera?» urla una voce
femminile alle mie spalle.
Sussulto e cerco di nascondermi nella corsia del National
Geographic, ma so già che non ho scampo. Nessuno può spuntarla
con la Signora Ricci, il nostro capo: bionda ossigenata, sui cinquanta,
robusta e con la voce e i modi di un marine. Nessuno conosce il suo
nome di battesimo, sebbene ogni settimana io e i miei colleghi
giochiamo a una specie di lotteria cercando di indovinarlo. Finora
non siamo approdati a nulla. Sicuramente non ha il volto di una
«Serena» o di una «Allegra». No, di una «Allegra» sicuramente no.
«Fammi spazio!» sussurra Laura, la mia collega, mentre si
nasconde dietro la pila dei libri sulla Tasmania. La signora Ricci ha
una sorta di mania ossessivo-compulsiva per la pulizia della
videocamera di sicurezza, da quando c’è stato quell’episodio di atti di
vandalismo.
Nel 1975, credo, quando lei era già proprietaria di questa libreria.
Comunque, ogni mattina ci obbliga a pulire la lente della
videocamera di sicurezza e a ripulirla la sera prima di andare via: sia
mai che un acaro offuschi la visuale del pregiato apparecchio
tecnologico.
Sospiro e mi faccio avanti: «Ci penso io, Signora Ricci!» esclamo
rassegnata. Tanto so che, altrimenti, ci troverà e ci racconterà la
storia del 1975 e di come, a causa di un addetto pigro che non l’aveva
pulita bene, non si poté incastrare il colpevole degli atti di
vandalismo. Inutile dirle che la videocamera non ha un sistema di
riconoscimento facciale e che qui siamo in Italia, a Milano, e non
nella sede della Nato. Credetemi, ci ho già provato e ho capito che
faccio prima a pulire quel dannato aggeggio.
Passando per la Tasmania, Laura, la mia collega bibliotecaria, mi
rivolge un muto ringraziamento, mentre io alzo gli occhi al cielo e
cerco di scorgere gli altri colleghi nei loro nascondigli. Codardi.
Chiara è nel reparto cucina vegana e Massimo in quello dei classici
russi. Scuoto la testa come un professore contrariato e pulisco la
videocamera, sperando si rompa quanto prima nel peggiore dei
modi.
Poi sento la saracinesca che viene abbassata e… la campanella. Sì,
la campanella trilla allegra come a scuola, e la Signora Ricci a grandi
passi rumorosi va ad aprire le porte: è la sua tradizione e non vuole
rinunciarvi. E loro entrano. I lettori, insaziabili consumatori di
lettere e parole, sospiratori seriali e sognatori senza speranza. Li
capisco, io sono come loro: un topo di biblioteca che leggerebbe fino
a consumarsi gli occhi. Eppure non sono i libri il mio unico rifugio
sicuro, nonostante la mia grande passione per essi. E non è neppure
un uomo, a dire il vero. No, con gli uomini ho chiuso da qualche
anno, dopo il tradimento di Alessio. La mia vera passione è la
matematica. Lo so, è una passione bizzarra, soprattutto se unita alla
letteratura, ma è la mia passione. Adoro il modo in cui i numeri
mettono tutto a posto, in un modo o nell’altro, ed è per questo che,
credo, mi piace lavorare qui, catalogare, sistemare. I numeri
coadiuvano le lettere e insieme creano armonia. Però, onestamente,
se potessi scegliere farei un lavoro in cui i numeri fossero prevalenti.
Non che io non abbia scelto questo lavoro, benintesi, ma… diciamo
che forse ho un po’ subito le pressioni dei miei genitori. Sì, ho
ventiquattro anni e dovrei essere indipendente psicologicamente da
loro, ma in un modo o nell’altro quei due riescono sempre a farmi
fare quello che vogliono. Mia sorella dice che sono troppo
accondiscendente; io credo che l’idea di farli soffrire non mi piaccia,
e quindi, quando mia madre, ex insegnante ormai in pensione, ha
saputo di questo lavoro, mi ci ha spinta senza nemmeno chiedermi il
parere, e io ho accettato senza controbattere. E tutto sommato va
bene.
Tutto sommato. Respingo queste parole che mi ronzano in testa e
mi guardo attorno, concentrandomi su quello che, a tutti gli effetti, è
il mio presente.
I lettori sono entrati in fila, in religioso silenzio, come se
l’ambiente nel quale hanno messo piede fosse sacro. E in qualche
modo lo è davvero, penso.
Io e i miei colleghi ci mettiamo ognuno alla nostra postazione e li
scrutiamo con curiosità. Ormai li conosciamo, i lettori abituali, i
tesserati che non mancano una nuova uscita.
C’è il gruppo degli over 70: i vecchietti che si sistemano nella zona
giornali e leggono i quotidiani. Leggono e commentano. Bisogna
sorvegliarli e zittirli ogni dieci minuti perché scatenano dibattiti
interminabili. Quando escono hanno comprato un giornale in dieci,
ma la Signora Ricci con loro è benevola, dice che così incoraggia la
cultura. Io ho il sospetto che tra quei vecchietti ve ne sia uno che lei
ha adocchiato da tempo.
Poi ci sono le «sospiratrici»: le ragazze che leggono le Cinquanta
sfumature e affini. Dal reparto erotico giungono sospiri infiniti, e
quando i miei colleghi uomini passano loro accanto vengono
osservati con compatimento. Immagino li paragonino a Mister Grey,
e che ovviamente che non superino il paragone. Non sono ragazzi da
buttare, sia chiaro, ma non credo proprio che amino quel genere.
Massimo è bruno con gli occhiali, fisico asciutto, bel ragazzo, timido.
Luca è castano chiaro, occhi azzurri e logorroico come mia zia Nadia.
Se comincia a parlarti delle sue serie tv preferite rischi di non
abbandonare più la libreria. Sorrido agli avventori che entrano e li
studio, con curiosità.
Nella zona «libri da cucina» c’è la signora Carmela che viene a
consultare le ricette prima del pranzo: legge, prende appunti,
acquista un nuovo libro e va a fare la spesa. Immagino prepari dei
manicaretti deliziosi.
Nella zona romanzi d’amore ci sono quelli che noi chiamiamo gli
«zuccherini»: una giovane coppietta dolce fino allo sfinimento. Il
nostro.
«Cioccolatino, dolcetto, patata, biscottino» sono alcuni dei
soprannomi che usano per chiamarsi.
Lui sui vent’anni, biondo con gli occhi azzurri, lei mora con gli
occhi scuri.
«Quella non è una donna, è diabete ambulante» dice sempre
Massimo. Come dargli torto? Lei compra puntualmente ogni nuova
uscita romantica e lui paga.
Infine, da tre settimane, entra sempre un tipo biondo, occhi
verdissimi, che Luca chiama lo «scontroso». Entra, non saluta,
prende sempre il solito libro, lo sfoglia distrattamente, si guarda
attorno, lo ripone e se ne va.
Vivi e lascia morire, di Ian Fleming. Avventuroso, il ragazzo: mi
piace.
«Allora? Quando gli chiedi di uscire?» sussurra Laura alla mia
destra.
La ignoro.
«Quando? Quando?» incombe Chiara alla mia sinistra. E capisco
di essere sotto attacco.
«Mai. Non sono il suo tipo» le snobbo, inserendo i codici dei nuovi
libri nel computer per l’archiviazione.
«Certo che lo sei non buttarti giù!» incalza Chiara, sorridendo e
dandomi una pacca sulla spalla. Mi si scosta un ciuffo di capelli e lo
rimetto a posto.
«Devi buttarti, Terry!» irrompe Chiara, «come la nostra
Rossella…»
Occhi sognanti di entrambe. So dove andrà a finire questa
conversazione, così prendo velocemente i miei libri e mi alzo.
Chiara mi si para davanti e Laura la affianca.
«Io non sono Rossella O’Hara! Io sono solo Teresa Ghirardelli:
mettetevelo in testa, voi due» le ammonisco. Io le adoro, le mie
colleghe, davvero, ma hanno questa fissa per Via Col Vento che
supera ogni logica. Okay, anch’io sogno di incontrare il mio Rhett…
ma da qui a farne una ragione di vita, proprio no.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo