Tutti i racconti Vol.4 – Richard Matheson

SINTESI DEL LIBRO:
Il sole non si era mosso per tutta la mattina.
Si era nascosto dietro uno spesso manto di nuvole che si estendeva per
tutto il cielo. Raffiche di freddo vento umido spazzavano i marciapiedi
mentre il gruppetto marciava in formazione sparsa.
Gli occhi di lei vagavano distratti sui ranghi dei suoi allievi.
Era già esausta e ancora non erano arrivati nemmeno al museo. Sollevò
gli occhi e guardò il palazzone grigio al quale si stavano avvicinando.
«Restate vicini!» ordinò per quella che le sembrò la centesima volta.
Aveva voglia di strangolare tutti i bambini perché correvano per le strade,
si nascondevano dietro gli alberi e poi spuntavano all'improvviso per
spaventare le bambine. Aveva voglia di strangolare anche le bambine perché
strillavano deliziate quando questo succedeva. Me l’ha detto mia madre di
fare la maestra, si disse, sopraffatta dall'irritazione.
I bambini si raggrupparono momentaneamente e attraversarono di corsa
l’ampia piazza. Quando raggiunsero il palazzo si lanciarono su per gli scalini
di marmo bianco, in un attacco frontale all'ingresso.
«Restate vicini!» gli gridò dietro.
Salì in tutta fretta la scalinata e s'infilò nella porta. I bambini si erano
sparpagliati e si scambiavano occhiate nell'atrio dal soffitto altissimo. Lei si
precipitò a radunarli in massa come si fa con un gregge di pecore disperso.
«Piantatela subito con queste sciocchezze o ce ne torniamo subito a
scuola» li minacciò, trafelata, mentre contava le teste e li fulminava con lo
sguardo.
C'erano tutti.
«Adesso restate qui» ordinò. «Io vado a controllare l’elenco delle sale.»
Si avviò, poi si voltò. «Non muovetevi!»
Giunta di fronte alla grossa bacheca con le scritte in grandi lettere bianche
si fermò e cercò di riprendere fiato.
«Bambini» borbottò mentre esaminava le parole. Rettili, lesse muovendo
le labbra e ripensò ai bambini. La sola idea della lunga camminata che li
aspettava per tornare a scuola la fece gemere. Passò in rassegna le scritte.
Sentì alle spalle il rumore di qualcuno che cadeva a terra. Si voltò
spalancando gli occhi per vedere quale nuova monelleria fosse stata
commessa.
L'esercito si era frantumato.
Tre bambini erano impegnati in una furibonda gara di acchiapparello
attorno a un'antica cassapanca decorata.
Due bambine stavano in fondo all'atrio e parlavano con l’addetto del
negozio di souvenir.
Altri due bambini erano seriamente indaffarati a scardinare una
mattonella con i loro coltellini.
Gli altri bighellonavano senza meta come navi alla deriva trascinate dalla
corrente.
Emise un gemito strozzato e corse sul pavimento scuro. Raccolse
rabbiosamente i due scardinatoli e gli diede una bella scrollata. Poi sibilò un
ordine ai tre che pattinavano attorno alla cassapanca. Tutti si riunirono e si
fecero piccoli sotto lo sguardo severo di lei.
«Restate vicini» disse. Poi si voltò e andò verso il negozio.
Le due bambine girarono la testa mentre lei si avvicinava.
«Stavamo solo facendo qualche domanda» disse timidamente una delle
due.
«Vi avevo detto di restare con… cosa stai indicando?»
Si guardò intorno e rimase a bocca aperta.
«Ci sei andata poco fa» sbottò.
«Devo andarci di nuovo» disse la bambina.
Si sentì travolgere da una stanchezza disgustata. Ci va uno, ci vanno tutti,
pensò. «Per l’amor del cielo» borbottò.
Acquistò una guida prima di riaccompagnare le bambine fino al gruppetto
irrequieto.
«Quanti di voi devono, dico devono, andare al bagno?» domandò.
Tutti. Perché perdo tempo a chiederlo? pensò. Probabilmente si divertono
di più a tirare la catena che a vedere tutte le meraviglie che ci sono qui
dentro.
Come uno stanco pifferaio magico li accompagnò attraverso l’atrio.
Lasciò andare i bambini con un gesto secco, ricordandogli che dovevano
essere di ritorno entro cinque minuti, non di più. Li seguì con lo sguardo
mentre oltrepassavano la porta come un branco di cavalli al galoppo e sentì
provenire dall'interno i suoni soffocati e le risatine mentre si scatenavano
senza avere addosso gli occhi di nessuno.
Grugnì, rassegnata, e sospinse le bambine verso l’entrata successiva.
Nell'antibagno si accasciò su un sedile ed emise un gemito. Fissò mezza
intontita la parete di fronte. La guida le scivolò dalle mani e cadde a terra.
Non si mosse né parlò né scosse la testa nemmeno quando le due bambine
cominciarono a strillare fra loro e un'altra uscì di corsa dal bagno per riferirle
che era in corso una lotta accanita.
Alla fine riuscì a rimetterli tutti insieme come i pezzi di un macchinario in
movimento che continuava a scaraventarli da tutte le parti.
Contò le teste. C'erano tutti. Indicò verso la sala degli animali proprio
all'inizio dell'atrio e seguì la marea che avanzava.
I bambini passarono la porta saltellando, scivolando e facendo acrobazie.
«Camminate dritti!» ci tenne a chiarire lei mostrando i denti in
un'espressione bellicosa. I bambini sfilarono lungo la sala come monaci
penitenti.
Lei lesse le scritte stilla porta mentre ci passava sotto.
SALA GEORGE EAST, c’era scritto.
George East. Consultò gli scaffali della memoria. George East era stato
un famoso esploratore. Molto tempo fa. Ricordò di aver letto da bambina uno
dei suoi libri. Caccia grossa in Africa. Si chiamava così, ricordò, sorridendo
pensierosa a quel riflesso della passata gioventù.
All'interno dovette sbattere gli occhi più volte prima di poterci vedere. Fu
come entrare in una moschea o, quanto meno, in un teatro al buio. Però aveva
l’odore di una moschea.
Le uniche luci erano quelle nei bulbi di vetro dei padiglioni sui due lati
della sala che Correva via come una macchia buia e confusa.
Venne colpita dall'improvvisa cessazione di ogni rumore da parte dei suoi
allievi. Parlottavano in toni molto seri e anche quelli che non riuscivano a
soffocare le risatine le mascheravano molto bene. In una chiesa, in un museo,
pensò lei, dove è buio e tutto puzza di vecchio, i bambini e gli adulti si
comportano così, come se l’oscurità fosse qualcosa di sacro in sé stessa,
qualcosa da non violare.
I bambini stavano osservando il primo padiglione.
Lei cercò di leggere la guida, ma era troppo buio. Allora andò alla
facciata di plexiglass e si chinò per leggere la placca sulla parete.
«Bambini, questo è il Bufalo d'acqua» disse, leggendo poi la descrizione.
Dopo aver letto li guardò. Sembravano indifferenti. Non hanno ascoltato,
pensò, e la sua bocca assunse una fissità offesa. Be', chi me lo fa fare? Perché
devo consumarmi la vista, santo cielo, quando a loro non gliene importa
niente? Non lo farò, decise, tutto qui.
Rimuginando pensieri combattivi si mise a osservare i grossi animali
impagliati. Un bel lavoro, riuscì ad apprezzare, malgrado la contrarietà.
Sembravano quasi vivi, congelati nel tempo, pronti al tocco di una sferza
a scendere in battaglia.
Si sforzò di immaginarlo. Cercò di visualizzare i robusti zoccoli che
spruzzavano l’aria calda e muschiata di terra nera, il laghetto verdastro che
gli innaffiava i fianchi rigonfi, l’aria che risuonava del clangore delle loro
coma a sciabola.
Impossibile, concluse. Come faccio a immaginarlo. Chi è morto è morto.
Le giunse all'orecchio un bisbiglio che intendeva essere riservato, ma che
risuonò come un'eco. Cosa c’è di più rumoroso di un bambino che cerca di
stare zitto?, pensò, guardando di lato con una rabbia che le cresceva
lentamente dentro.
I suoi allievi si erano di nuovo divisi, la struttura della classe disgregata.
Le sue parti erano sparpagliate lungo i quattro padiglioni successivi.
Il suo sibilo vibrò nell'aria come l’ammonimento di una vipera selvatica.
Tutti riconobbero il suo richiamo caratteristico e tornarono indietro mogi
mogi per riprendere il loro posto nel gruppo.
«Per l’amor del cielo, state insieme!» ordinò, con la voce che cresceva di
tono. «Smettetela di andare in giro senza il mio permesso!»
«Posso solo andare a…»
«State vicini!» disse lei quasi in un lamento, la voce tesa come una corda
di violino. State vicini. Le parole collassarono nella sua mente. Dovette fare
un lungo sforzo di concentrazione per ricordarsi cosa significassero.
Si fermò davanti al padiglione successivo tenendosi dietro a tutti i
bambini, in modo che nessuno se la svignasse.
«Questo è un elefante» proclamò con bellicosa sicurezza.
«Un rinoceronte» la corresse ad alta voce uno dei bambini. «Così c’è
scritto.»
Lei si schiarì la gola, desiderando vagamente che il rinoceronte sfondasse
la lastra e trasformasse il bambino in una poltiglia sanguinolenta.
«Giusto» si corresse. «Sono felice di vedere che almeno uno di voi è
sveglio quando metto alla prova la vostra attenzione.»
Guardò con aria minacciosa il mostro dai fianchi scuri le cui orecchie
sarebbero rimaste perennemente dritte e le cui narici avrebbero continuato a
restare aperte nell'inutile tentativo di barrire.
Per un breve momento tentò di nuovo di immaginare. Cercò di sentire il
fragore delle zampe, il crepitare dell'erba schiacciata.
Impossibile. Rimosse l’idea. Perché perdere tempo nel tentativo di
resuscitare qualcosa che non aveva nemmeno mai visto?
«Andiamo al prossimo» disse con voce stanca, mentre l’immagine di
infinite sequenze di padiglioni si insinuava minacciosamente nella sua testa.
Il gemito che emise fu sentito solo dai bambini più vicini e a loro non sembrò
strano.
Percorsero la sala in lungo e in largo, per tutta la sua estensione.
Osservarono leoni, elefanti, gazzelle, zebre, giraffe e ogni altra sorta di
animali selvatici. Lei ebbe l’impressione di guardare tutto ciò con cui George
East era venuto in contatto nella sua vita, inclusi i funghi e la sua prima
moglie.
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