Largo Richini – Renato Olivieri

SINTESI DEL LIBRO:
Sono sicuro che mia figlia non sia morta di malattia, ma sia stata
assassinata, lentamente» stava dicendo il vecchio dai capelli bianchi
ancora folti, e gli occhi avevano a tratti una luce un poco insana, o
forse era l'ansia che lo affliggeva a renderlo quasi inattendibile, a
dargli quell'aspetto trepido così inopportuno - pensava Ambrosio -
per un'indagine di qualche rilievo.
Faceva caldo, eppure l'estate, che era ancora opprimente, avrebbe
già dovuto, stando al calendario, lasciar intuire l'autunno, mirabile
stagione per gli spiriti sensibili, e che il commissario attendeva dai
giorni torridi di ferragosto fantasticando di temporali e burrasche. Si
toccò la nuca umida di sudore, e intanto guardava l'uomo che
pareva isolato in una sorta di fissazione indomabile e, per un istante,
fu preso da un sussulto di tedio, di cui si sentì subito in dolo.
«Suo padre e io eravamo amici, lo ricorda vero?» disse l'uomo,
come se avesse voluto, in quel momento, stabilire con Ambrosio un
minimo di complicità. «E lo siamo stati sempre, finché il giudice è
mancato. Quanti anni fa? Diciassette, diciotto?»
«Ventuno» disse Ambrosio.
Rivide suo padre, in una mattina di maggio, lungo via Venti
Settembre: camminava adagio all'ombra degli ippocastani, il bastone
con il pomo d'avorio nella destra, il Borsalino grigio perla, il gilet
sotto la giacca di mezza stagione, assorto e un po' curvo. Per la
prima volta gli era accaduto di scoprirlo vecchio, un vecchio signore
sofferente. Se ne sarebbe andato per sempre due mesi dopo.
«Ventuno? Il tempo fugge» mormorò l'amico di suo padre,
passandosi la palma della mano sulla bocca, lo sguardo alla finestra.
Ambrosio era certo che stesse facendo il conto degli anni. Capì che
aveva colto nel segno quando l'uomo aggiunse: «Ho fretta,
capisce?, devo risolvere questo problema che mi assilla, che non mi
dà pace ».
Si alzò con fatica, reggendosi al bastone nero che aveva accostato
al bracciolo della poltroncina in finta pelle. Fece qualche passo verso
la finestra con i vetri aperti, si toccò la coscia e chiuse gli occhi,
come se un dolore subitaneo, una fitta l'avesse colpito bruscamente.
«Non si sente bene?»
Si voltò e lo fissò, ma ad Ambrosio parve che il vecchio avesse già
dimenticato quell'attimo di angustia, e infatti: «Niente » disse, «non è
niente. La mia gamba. Lo sapeva che ho un arto artificiale? Ma che
razza di domande le faccio? Lei era un ragazzo, allora».
«Fronte russo, vero?»
«Era la fine dell'estate del 1942. Prima battaglia difensiva del Don,
che cominciò il 20 agosto. Ma ormai tutto è passato da tanto tempo.
Pensi che allora avevo trent'anni, eppure ci sono momenti...
momenti in cui mi pare che ogni cosa sia accaduta, che so?, di
recente. Come la morte di suo padre, per esempio. Il tempo è infido.
Ci sono stati dei periodi della vita in cui ero ossessionato dal tempo,
ma adesso invece quel che conta, per me, è conoscere la verità su
mia figlia, sull'unica figlia che abbiamo avuto».
«Ricordo sua moglie» disse Ambrosio. «Era più giovane di mia
madre... bionda, alta. Rammento un cappello di paglia con un
mazzolino di fiori azzurri che portava a un matrimonio, ero ancora
studente».
«Lo so, abitavamo in corso Magenta, di fronte alla chiesa di San
Maurizio, la nostra chiesa... una meraviglia... gli affreschi di
Bernardino Luini, il chiostro, la torre quadrata. Lì si era anche
sposata mia figlia. Non ci passo più davanti, non voglio passarci.
Adesso abito in un piccolo appartamento di corso Italia, accanto al
Touring Club».
«Quel cappellino con i fiori» disse Ambrosio «mi aveva colpito, e
anche sua moglie devo dire. Tuttavia non ricordo sua figlia. Si
chiamava?»
«Virginia».
«Adesso vive da solo, in corso Italia?»
«Con una domestica, Matilde, che ha sempre chiamato mia figlia "la
signorina", anche quando aveva lasciato la casa di corso Magenta
ed era andata ad abitare con suo marito in largo Richini».
Il vecchio tornò a sedersi, una mosca entrata dalla finestra lo stava
molestando mentre lui cercava di estrarre qualcosa dalla tasca
interna della giacca. Quando finalmente riuscì a poggiare il bastone
sulla scrivania e a togliere dal portafoglio la foto, la porse ad
Ambrosio che, provando un attimo di sollievo, si avvicinò e si sedette
sulla poltroncina accanto. Osservandola, ebbe la sensazione di aver
già conosciuto la donna, ancora giovane e attraente, chissà quando.
O forse era quel genere di femmina che a lui era sempre piaciuto, a
causa degli occhi, probabilmente, che dovevano essere stati attenti
e un po' avidi, e anche teneri; il trucco morbido, i capelli biondi pieni
di luce, il corpo sottile.
«Quando è successo?»
Il vecchio lo guardò, sorpreso: «Intende, quando è morta Virginia?
Due anni fa, di questa stagione, tra Portofino e Paraggi. Un malore.
Mia moglie e io eravamo a Capri, una chiamata telefonica alle due di
notte... non sto a dirle...»
«Immagino» disse Ambrosio sottovoce, ridando al vecchio la
fotografia della figlia in abiti estivi. La prese senza guardarla e la
rimise nel portafoglio.
«Lei si chiederà perché sia venuto a trovarla adesso, dopo... dopo
che sono passati venticinque mesi».
Ambrosio fece un gesto con la mano, o almeno tentò di farlo, ma il
vecchio non gli badò, era avvinto al suo dolore, anzi al pensiero del
suo dolore, una consuetudine che era diventata per lui
un'ossessione.
«In principio avevo sofferto, avevamo sofferto insieme, mia moglie e
io. Non c'era giorno che non andassimo a trovare Virginia al
Monumentale, anche quando pioveva o nevicava; parlavamo
sempre di lei, la sentivamo più vicina di quando era viva, di quando
era giovane e stava con noi. Poi... poi, con il matrimonio, ci eravamo
visti di meno; succede, aveva tanti obblighi, viaggiava, andavano a
Salisburgo, a Londra, stavano via settimane, ma non importava:
pensavamo che avesse sposato l'uomo giusto, la persona che le
avrebbe fatto fare la vita che lei, Virginia, aveva sempre desiderato.
Non... non capisce?
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