La ragazza dagli occhi di carta – Ilaria Tuti

SINTESI DEL LIBRO:
Un piede davanti all’altro, sulla
linea bianca che delimitava la
careggiata, per chilometri.
I talloni nudi battevano l’asfalto da
ore, gusci callosi senza più
sensibilità. Spingevano il corpo
magro in avanti, con passi corti che
si incastravano l’uno all’altro e
tracciavano la rotta.
Le macchine sfrecciavano. Lo
spostamento d’aria lambiva il fianco
dell’uomo, ma lui restava
indifferente, anche quando la ghiaia
lo colpiva alle caviglie come
proiettili. Gli occhi non si alzavano,
rimanevano affondati nella striscia
d’asfalto che conduceva verso sud.
Si era lasciato le Alpi alle spalle e
procedeva lungo la strada statale che
si snodava come un serpente nella
Canal del Ferro. La vallata era aspra,
le pareti scoscese scendevano come
quinte imponenti a incontrare un
fiume dalle acque chiare. Il
bassopiano era una lingua stretta che
si inoltrava tra le montagne,
piramidi naturali che spuntavano dal
terreno piatto.
L’alito dell’inverno soffiava
spietato. Bruciava mani e orecchie,
tendeva i calzoni sulle gambe magre
e gonfiava come una vela la
maglietta. L’uomo non indossava
altro.
Lo zaino batteva contro le scapole a
ogni passo come una mano che dà il
ritmo. Conteneva tutto quello che
restava della sua vita e, insieme, il
simbolo di ciò che l’aveva distrutta.
Quando la volante della polizia lo
affiancò, l’uomo non rallentò
l’andatura. L’auto seguiva i suoi
passi. Un agente aveva abbassato il
finestrino e gli parlava in italiano.
Poneva domande con tono sempre
più insistente, a cui lui non rispose.
La volante sterzò e gli tagliò la
strada. I due poliziotti scesero, gli
intimarono di fermarsi.
Lui, allora, li assecondò. Il viaggio
finiva lì.
Sentì le loro voci farsi più concitate.
Alzò gli occhi e li vide impugnare le
armi. Solo allora si rese conto di non
essersi pulito.
2
Teresa Battaglia si era svegliata di
soprassalto, con la sensazione di non
aver sentito suonare la sveglia. Le ci
era voluto qualche istante per
ricordare che era il suo giorno
libero. Il sonno era stato rotto dalla
vibrazione del cellulare che
ringhiava sul comò, alle sette del
mattino.
Aveva alzato il fondoschiena
generoso dal letto con un lamento,
tutto il peso dei suoi cinquantasette
anni sulla schiena. Si era vestita in
fretta ed era uscita senza nemmeno
alzare le tapparelle.
La città era ancora sonnacchiosa.
Udine non aveva fretta di svegliarsi
e per le strade non c’era quasi
nessuno. La attraversò in bicicletta.
La frangia del caschetto tinto di
rosso le finiva sugli occhi a ogni
pedalata, ciocche sottili che si
accendevano delle tonalità del
magma quando il sole le colpiva.
Teresa malediceva l’aroma di caffè
tostato e brioche appena sfornate che
usciva dai bar del centro, perché
acuiva il languore che brontolava nei
recessi del suo stomaco. Quel giorno
si sarebbe dovuta accontentare del
piscio chimico che offriva il
distributore di bevande del secondo
piano.
Arrivò in questura trafelata. Scese
dalla bicicletta e l’affidò senza dire
una parola a due agenti sbarbatelli
che la guardarono come se fosse
ammattita, prima di riconoscerla. Le
nuove leve facevano sempre fatica a
inquadrarla come un superiore e di
solito accadeva solo dopo che Teresa
li aveva strapazzati un po’, giusto il
necessario per far capire di che pasta
era fatta: quella dura di un torrone,
amava dire lei. Dolce abbastanza da
farti dimenticare di averti quasi rotto
i denti.
«Non è possibile» mormorò, davanti
all’ascensore di nuovo guasto.
Salì fino al secondo piano
brontolando: era sabato, era presto, e
il suo peso sembrava essere lievitato
nelle ultime ore, tanto da ancorarla
al pavimento e rendere ogni
movimento uno sforzo. Colpa della
pressione bassa e della rottura di
scatole di essersi precipitata lì a
forza di pedalate.
«Commissario, buongiorno» la
salutò Marini, in piedi accanto al
distributore, con un sorriso a cui
Teresa rispose appena.
Alessandro Marini era bello come
Mastroianni da giovane: con l’aria
un po’ da canaglia, un po’ da
mammone. Un farabutto del cuore.
Era il suo braccio destro, ispettore
da poco più di due anni. Dividevano
lo stesso ufficio e lui per questo si
era montato la testa, come se fosse
stata lei a volerlo tra i piedi tutto il
giorno. La verità era che nello
sgabuzzino che gli era stato
assegnato c’era una perdita d’acqua
che non era ancora stata riparata.
Mancavano sempre i soldi lì dentro,
per qualsiasi cosa.
«Allora, che succede?» gli chiese,
accettando il caffè che le porgeva.
«Il questore la sta aspettando
assieme al medico legale. È arrivato
anche il sostituto procuratore. Sono
nella sala riunioni».
«Addirittura? Deve essere saltato
fuori un bel casino».
«Una pattuglia ha fermato un uomo
sulla statale all’altezza di Gemona.
Alcuni automobilisti avevano
chiamato il 113 per segnalarne la
presenza. Camminava radente la
carreggiata e ogni tanto sbandava».
«Che ha fatto quest’uomo per averci
scomodato tutti? Li ha morsi?»
«È ricoperto di sangue e nello zaino
aveva una mano».
«Cristo Santo. Zucchero!»
Marini prese una bustina dal tavolo
accanto al distributore e la aprì,
guardando Teresa con aria
interrogativa.
«Tutta, tutta» disse lei, mentre
l’uomo versava «Dov’è adesso?»
«Nella stanza degli interrogatori, in
stato di fermo. Non parla».
«Si sa chi è?»
«Non ha documenti. Sembra un
apolide. Un giramondo».
«Di bene in meglio» commentò
Teresa. Finì il caffè e centrò il
cestino dei rifiuti con il bicchiere.
«Andiamo a vedere che faccia ha il
questore».
Il questore Ambrosini aveva una di
quelle facce che quando le vedi ti
metteresti a ridere, ma che poi ti
fanno pena. Il colorito era verde, la
pelle era tirata sugli zigomi e gli
occhi sporgevano un po’, tanto
erano spalancati. Anche i baffi
sembravano più ispidi, come se i
peli si fossero rizzati sulla pelle.
Questa grana non ci voleva, a due
settimane dal suo pensionamento.
Il sostituto procuratore Gardini,
invece, era flemmatico. A Teresa
ricordava una giraffa, lungo e
pacifico com’era, gli occhi enormi
dietro le lenti per correggere
l’ipermetropia.
«Questa è la foto della mano che è
stata ritrovata nello zaino» disse
Antonio Parri. Era il consulente
anatomopatologo. «L’abbiamo
portata all’Istituto di Medicina
Legale per ulteriori analisi, ma
posso già dirvi qualcosa».
Teresa inforcò gli occhiali da lettura
e allungò il collo per vedere meglio.
Era la mano di una donna. Era
piccola. Le unghie erano dipinte di
un rosa acceso, alla moda. Quella
dell’indice era spezzata. Portava un
anello d’oro, con due piccoli cuori in
filigrana.
«Faremo le analisi di PCR e quelle
sulla calcificazione ossea per
stabilire l’età, ma a occhio e croce
direi tra i venticinque e i trent’anni»
continuò Parri. «La sezione
uniforme dei tendini e dei vasi
sanguinei mi fa dire con certezza
che il taglio è stato netto, direi
chirurgico. Chi l’ha eseguito sa il
fatto suo, probabilmente ha lavorato
o lavora in ambito medico».
«Le lesioni che cosa ci dicono?»
chiese Teresa. «Era viva quando
gliel’ha amputata?»
«Sì. Il rossore attorno al taglio
indica che c’era attività cardiaca: il
cuore ha pompato il sangue nei
tessuti, provocando l’infiltrazione. A
mio parere è stato usato un attrezzo
del mestiere. Chiunque sia stato, non
ha improvvisato. Domani
dovrebbero essere pronti gli esami
tossicologici».
«Quando è successo?»
«Un giorno fa al massimo, a
giudicare dalla necrosi dei tessuti».
«Si può sopravvivere a una ferita del
genere?»
«Solo se l’emorragia viene arrestata
in tempo, con qualsiasi cosa che
possa fungere da laccio emostatico,
e a patto di andare subito in ospedale
per scongiurare infezioni».
«Se è stato lui, dubito che l’abbia
soccorsa e poi si sia tenuto la mano
come ricordo» mormorò Teresa.
«Abbiamo fatto lo scraping
subungueale. Sapremo presto se
sotto le unghie c’è materiale
biologico dell’uomo».
«Vorrei parlargli» disse Teresa.
«Certo» rispose il questore «ma
prima c’è un’altra cosa che vorrei
vedesse, commissario». Tirò fuori
altre foto dal fascicolo e gliele
passò.
Teresa ne fu sorpresa.
Erano polaroid macchiate di sangue.
Ritraevano il viso di una ragazza dai
lineamenti regolari, la fronte coperta
da una frangia bionda, le labbra
rosee un po’ screpolate. Si
intravedeva un incisivo scheggiato.
Su uno zigomo c’era un ematoma
bluastro.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo