Il nostro tragico universo – Scarlett Thomas

SINTESI DEL LIBRO:
Stavo leggendo come sopravvivere alla fine dell'universo quando
ricevetti un SMS dalla mia amica Libby. Diceva: Possiamo vederci
all'Argine tra quindici minuti? Enorme disastro. Era una domenica
fredda dei primi di febbraio, e io l'avevo passata in gran parte
rannicchiata a letto, nel mio umido e diroccato cottage a
Dartmouth. Oscar, il responsabile della rubrica dei libri nel giornale
per cui scrivevo, mi aveva spedito da recensire La scienza
dell'immortalità di Kelsey Newman, insieme a un biglietto dove
indicava la data di consegna. In quei giorni avrei recensito di tutto
perché avevo bisogno di soldi. In fondo non era così male: mi ero
fatta un nome recensendo libri scientifici, così Oscar mi riservava
sempre i migliori. Christopher, il mio ragazzo, lavorava come
volontario nel settore della conservazione dei beni culturali, perciò
toccava a me pagare l'affitto. Non rifiutavo mai una commissione,
anche se non sapevo affatto cosa avrei potuto dire sul libro di
Kelsey Newman e sulla sua idea di sopravvivere oltre la fine del
tempo.
In un certo senso stavo già sopravvivendo oltre la fine del tempo:
oltre le scadenze, i limiti di credito e gli ultimatum del direttore
della mia banca. Ero sempre puntuale quando si trattava di
incassare, meno quando bisognava pagare. Quell'inverno mi ero
ridotta a dover cambiare tutti i miei assegni a Paignton, in un posto
dove le commissioni erano fin troppo alte, ma nessuno faceva
domande, e a pagare le bollette in contanti all'ufficio postale. Del
resto cosa potevo aspettarmi? Non ero certo una scrittrice di
successo, anche se diventarlo faceva ancora parte dei miei progetti.
Ogni volta che una busta bianca arrivava dalla banca, Christopher
la aggiungeva alla pila della posta che si accumulava sulla mia
scrivania al piano di sopra. Non ho mai aperto nessuna di quelle
buste. Non avevo molto credito sul mio cellulare, così non risposi al
messaggio di Libby, ma posai il libro, sgusciai fuori dal letto e mi
infilai un paio di scarpe da ginnastica. Avevo giurato che non sarei
mai più uscita la domenica sera a Dartmouth, per diverse ragioni.
Ma non potevo dire di no a Libby.
Il pomeriggio grigio si stava ritirando come un onisco
spaventato, lasciando spazio alla sera. Avevo ancora cinquanta
pagine di La scienza dell'immortalità da leggere e la scadenza per la
recensione era l'indomani. Avrei finito il libro più tardi, cercando di
consegnare la recensione in tempo se volevo avere qualche
possibilità di uscire sul giornale di domenica. Se fossi slittata alla
settimana successiva avrei perso un mese di paga. Di sotto,
Christopher se ne stava sul divano a tagliare pezzi di legno di
scarto per fabbricarsi una cassetta degli attrezzi. Non avevamo un
giardino dove potesse lavorare ma solo un minuscolo cortile,
completamente circondato da alte mura di cemento dove,
miracolosamente, facevano la loro comparsa, di tanto in tanto, rane
e altri piccoli animali, come se fossero caduti dal cielo. Entrando
nel soggiorno mi resi conto che la segatura aveva invaso la stanza,
ma mi guardai dal sottolinearlo. La mia chitarra era appoggiata al
camino. Ogni volta che Christopher spingeva la sega avanti o
indietro la vibrazione si propagava nella stanza facendo tremare la
spessa corda del Mi. Il suono era talmente grave e triste e funereo
che non riuscivo quasi a sopportarlo. Christopher stava lavorando
con impegno: suo fratello Josh era venuto a pranzo il giorno prima
e lui non era ancora riuscito a smaltire la cosa. Josh trovava
terapeutico parlare della morte della madre; Christopher no. Josh
era felice che il padre stesse uscendo con una cameriera di
venticinque anni; Christopher pensava che fosse disgustoso. Forse
avrei dovuto essere io a interrompere quella conversazione, ma in
quel momento avevo altre preoccupazioni, ad esempio non avevo
neanche guardato il libro che dovevo recensire, o il pane stava
finendo e non ne avevamo dell'altro. E comunque, non avrei proprio
saputo come interrompere quella conversazione.
A volte, quando scendevo di sotto, pensavo a qualcosa da dire,
ma poi immaginavo la probabile risposta di Christopher e finivo per
starmene zitta. Questa volta dissi: «Indovina un pò?». E
Christopher, continuando a segare furiosamente, come se stesse
spaccando in due la testa di suo fratello o forse quella di Milly,
disse: «Lo sai che odio quando cominci le frasi in questo modo,
piccola». Mi scusai, ma quando lui mi chiese di tenergli fermo un
ciocco di legno risposi che dovevo portare fuori il cane.
«Sono secoli che non esce», dissi. «Ed è quasi buio».
Bess era nel vestibolo e giocava con un pezzo di cuoio.
«Pensavo che l'avessi portata fuori oggi pomeriggio», ribatté
Christopher.
Mi infilai l'eskimo e la sciarpa rossa di lana e uscii senza
aggiungere altro; non mi voltai neppure quando udii la scatola dei
chiodi di Christopher cadere a terra, anche se forse avrei dovuto
farlo.
Capitolo 2
Come sopravvivere alla fine del tempo? È piuttosto semplice.
Quando l'universo sarà talmente vecchio e fragile da collassare, gli
esseri umani saranno già in grado di gestire la situazione. Avranno
avuto miliardi di anni per imparare come fare e non ci saranno
vecchie governanti o giornali liberali o inni apocalittici a fermarli.
Quel giorno si tratterà soltanto di mettere in un angolo dell'universo
un pianeta ormai decrepito mentre un altro si piscia addosso
tristemente in un'altra galassia. E questo, in attesa della crisi finale,
quando tutto diventerà il contrario di tutto e l'universo comincerà il
suo meraviglioso collasso, sudando e sbuffando fino a quando la
vita ne schizzerà fuori e tutto ciò che importa nell'esistenza sarà
ridotto a un minuscolo puntino fino a scomparire del tutto.
Nell'ultimo rantolo dell'universo, a stento udibile, nel suo ultimo
sospiro orgasmico, tutto il muco e il pus e il suo rancido jus
diventerà pura energia, capace, per un solo momento, di qualsiasi
cosa sia immaginabile. Non sapevo perché avevo pensato di
spiegare tutto questo a Christopher. Una volta ero scoppiata a
piangere perché si rifiutava di accettare il concetto delle dimensioni
dello spazio e avevamo avuto una madornale discussione perché lui
non voleva guardare il grafico che avevo disegnato sul Teorema di
Pitagora. Secondo Christopher i libri che recensivo erano «troppo
cerebrali, piccola». Non so proprio cosa avrebbe potuto pensare di
questo, che ti mandava completamente fuori di testa.
Secondo Kelsey Newman l'universo, che non è altro che un
computer, per un attimo - forse nemmeno - diventerà così denso e
talmente carico di energia da poter realizzare qualunque cosa. E
allora perché non programmarlo per simulare un altro universo, uno
nuovo, che non abbia mai fine e nel quale tutti possano vivere felici
per sempre? Questo istante verrà chiamato Punto Omega e, dato
che avrà il potere di contenere tutto, sarà indistinguibile
da Dio. Tuttavia si differenzierà da Dio perché sarà alimentato da
una forza in divenire chiamata Energia. Quando arriverà il momento
in cui l'universo collasserà, nessuno se ne starà lì a scrivere poesie
o a fare l'amore per l'ultima volta o a bighellonare, stordito e
indolente, aspettando di essere annientato, immaginando un aldilà
meraviglioso e incomprensibile. Tutte le mani saranno pronte ad
agire per l'ultimo obiettivo: la sopravvivenza. Usando solo la fisica
e la loro buona volontà, gli esseri umani realizzeranno il Punto
Omega che, con il suo infinito potere, potrà e, per varie ragioni,
riuscirà di sicuro, a riportare tutti in vita - sì, anche te - miliardi di
anni dopo la tua morte, dando origine a un paradiso perfetto dove
ciascuno riceverà amore. Alla fine dell'universo potrebbe accadere
di tutto, tranne una cosa.
Non si morirà più.
Non era il genere di libro che di solito mi mandava Oscar.
Recensivamo libri di scienza divulgativa, sempre piuttosto
eccentrici, ma ci tenevamo alla larga da qualunque cosa si
avvicinasse alla filosofia new age. Era un libro new age? Difficile
dirlo. La quarta di copertina diceva che Newman era un rinomato
psicanalista di New York che aveva persino collaborato con un
presidente, sebbene non si dicesse quale. Quel libro gli era stato
ispirato dagli studi dell'altrettanto rinomato fisico Frank Tipler, a
cui si dovevano l'idea del Punto Omega e tutte le equazioni
necessarie a provare che io e te - e tutte le persone viventi ma anche
quelle che non sono mai esistite - risorgeremo alla fine del tempo,
non appena ci sarà potere sufficiente per farlo. La nostra morte sarà
quindi solo un breve sonno e non ci accorgeremo neanche del
tempo trascorso tra quel momento e il nostro risveglio nell'eternità.
In questo caso, perché affannarsi tanto? Perché affannarsi per
diventare una famosa scrittrice? Perché prendersi il disturbo di
pagare le bollette, depilarsi le gambe, sforzarsi di mangiare verdura
a sufficienza? La cosa più ragionevole da fare, se quella teoria
fosse stata esatta, era spararsi immediatamente un colpo. E dopo?
Io amavo l'universo, soprattutto i suoi aspetti più intriganti come la
relatività, la gravità, i quark up e down, l'evoluzione, l'equazione
delle onde che ero quasi riuscita ad afferrare; ma non lo amavo così
tanto da volerci restare oltre la sua fine naturale, bloccata insieme a
tutti gli altri in una sorta di coma, collegata a una macchina
cosmica che mi tenesse artificialmente in vita. Mi dissero una volta
- e me l'hanno ricordato recentemente - che non sarei arrivata a
nulla. Che cavolo me ne facevo di tutto quel paradiso? Vivere per
sempre era come sposarsi con se stessi senza avere alcuna
possibilità di divorziare.
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