Il campione eterno – Michael Moorcock

SINTESI DEL LIBRO:
Nei fugaci periodi tra veglia e sonno, molti di noi hanno avuto la
sensazione di udire voci, frammenti di conversazione, frasi
pronunziate in toni non familiari, alieni.
Talvolta cerchiamo di affinare la mente in modo da poter udire di più,
capire meglio: ma di rado il tentativo ha successo.
Queste sensazioni si chiamano allucinazioni ipnagogiche: l'inizio dei
sogni che poi vivremo, una volta addormentati.
C'era una donna. Un bimbo. Una città. Un lavoro. E un nome: John
Daker. C'era anche un senso di frustrazione, un bisogno disperato di
fuga.
Eppure li amavo, so che li amavo.
Accadde in inverno. Giacevo miserabile nel mio letto gelido, fissando
la luna attraverso i vetri. Non ricordo esattamente quali fossero i miei
pensieri. Senza dubbio, avevano a che fare con la morte e la futilità
dell'esistenza umana. Poi, tra la veglia e il sonno, cominciai a udire
le voci. Ogni notte, notte dopo notte...
Dapprima le ignorai, in attesa del sonno. Ma continuavano, e io
cercai di ascoltarle, tentando (così pensavo all'inizio) di raccogliere
messaggi dal
mio inconscio. C'era una parola che si ripeteva sempre, e che per
me non aveva senso:
Erekosë... Erekosë... Erekosë...
Non riconoscevo l'idioma: tuttavia, mi pareva stranamente familiare.
La lingua che più gli si avvicinava era, mi sembrava, quella degli
indiani Sioux. Tuttavia, io conoscevo soltanto pochissime parole
Sioux.
Erekosë... Erekosë... Erekosë...
Ogni notte raddoppiavo i miei sforzi per concentrarmi sulle voci, e a
po-co a poco cominciai a vivere allucinazioni ipnagogiche sempre
più forti, finché una volta non mi parve di aver interrotto ogni legame
con il mio corpo.
Ero rimasto per un'eternità sospeso nel limbo. Ero vivo... morto? Il
mio era il ricordo di un mondo che si trovava nel passato più remoto,
o nel più distante futuro? O di un altro mondo, più vicino? E i nomi?
Mi chiamavo John Daker o Erekosë? O ero entrambi? Molti altri
nomi... Coron Bannan Flurrun, Aubec, Elric, Rackhir, Simon
Cornelius, Asquinol, Hawkmoon...
Tutti questi nomi corsero lungo i fiumi spettrali della mia memoria.
Ero sospeso nelle tenebre senza corpo.
Un uomo parlò. Chi era? Cercai di guardare, ma non avevo occhi
con i quali potessi vederlo...
«Erekosë, Campione Eterno: dove sei?»
Un'altra voce. «Padre... è soltanto una leggenda...»
«No, Iolinda: sento che mi sta ascoltando. Erekosë...»
Cercai di rispondere, ma non avevo una lingua con cui parlare. Poi vi
furono sogni turbinanti (o apparenze di sogno), in cui vidi una casa in
una grande città di miracoli... una città di miracoli e meraviglie, ma
rigonfia e cupa, densa di macchine dai colori grigi, molte delle quali
erano cariche di passeggeri umani. C'erano edifici, splendidi anche
sotto la loro coltre di polvere, e c'erano altre costruzioni non
altrettanto belle, ma più luminose, con linee severe e molte finestre.
E c'erano grida e rumori fortissimi.
C'era un gruppo di cavalieri che galoppavano attraverso una
campagna ondulata, fiammeggianti nelle loro armature ageminate
d'oro, con pennoni multicolori che si agitavano attorno alla punta
delle lance incrostate di sangue. I loro volti erano tesi dalla
stanchezza.
E c'erano altri volti, molti volti. Alcuni di essi mi sembrava di riconoscerli. Altri mi erano del tutto ignoti. C'erano figure vestite in abiti
quali non avevo mai visto. Un uomo di mezza età, ma con i capelli
completamente candidi. Portava sul capo un'alta corona di ferro,
tempestata di diamanti. La sua bocca si muoveva. Pronunciava
parole...
«Erekosë. Sono io... Re Rigenos, il Difensore dell'Uomo...
«C'è nuovamente bisogno, di te, Erekosë. I Mastini del Male
governano un terzo del mondo, e l'umanità è logorata dalla guerra.
Vieni a me, Erekosë. Guidaci alla vittoria. Dalla Piana del Ghiaccio
Fondente ai Monti della Disperazione, hanno levato i loro infami
stendardi. Il mio cuore è gonfio d'angoscia: avanzeranno,
ingoieranno altri nostri territori.
«Vieni a noi, Erekosë. Guidaci alla vittoria. Vieni a noi, Erekosë.
Guidaci alla...»
La voce di donna:
«Padre. Questo è soltanto un sepolcro vuoto. Di Erekosë non rimane
neppure la mummia. Da tempo immemorabile, ormai è ridotta in
polvere.
Abbandoniamo questo luogo tetro, torniamo a Necranal, per guidare
in armi i campioni viventi!»
Mi sentivo come un uomo sul punto di svenire, che lotta contro
l'avan-zante marea dell'oblio e che, per quanto provi, non riesce a
recuperare il controllo della propria mente. Ancora una volta cercai di
rispondere, ma non vi riuscii.
Era come se una corrente invisibile mi spingesse all'indietro nel
Tempo, mentre ogni mio atomo lottava per andare in avanti. Avevo
sensazioni op-pressive, mi sembrava d'essere fatto di pietra e di
avere palpebre di granito, larghe miglia e miglia: palpebre che non
sarei mai riuscito a sollevare.
E poi, a tratti, mi sembrava di essere minuscolo: il più infinitesimale
granello dell'Universo. Malgrado ciò, in quegli istanti sentivo di
appartene-re al Tutto; una sensazione più forte di quella che provavo
quando mi sembrava d'essere un gigante di pietra.
Vaghi ricordi andavano e venivano.
L'intero panorama del ventesimo secolo, con le sue scoperte e le
sue de-lusioni, le sue bellezze e i suoi orrori, le sue soddisfazioni, le
sue lotte, le sue illusioni, le sue fantasie superstiziose battezzate con
il nome di Scienza, si precipitò nella mia mente come l'aria in una
cavità vuota.
Ma fu solo per un istante. L'attimo dopo, il mio intero essere era
proiet-tato altrove: verso un mondo che era la Terra, ma non la Terra
di John Daker, e neppure il mondo del morto Erekosë...
C'erano tre grandi continenti. Due erano molto vicini e li divideva
dall'altro un vasto mare, costellato di isole grandi e piccole.
Vidi un oceano di ghiaccio che, mi accorsi, si stava lentamente sciogliendo: la Piana del Ghiaccio Fondente.
Vidi il terzo continente, che era ricoperto da una vegetazione
lussureg-giante, con enormi foreste e laghi azzurri, e che era limitato
lungo le coste settentrionali da un'alta catena di montagne: i Monti
della Disperazione.
Sapevo che quello era il dominio degli Eldren, coloro che Re
Rigenos aveva chiamato Mastini del Male.
E poi, sugli altri due continenti, vidi i campi di grano dell'Occidente,
vi-di la Zavara, con le città di rocce multicolori, le città ricchissime:
Stalaco, Calodemia, Mooros, Ninadoon, Dratarda...
E c'erano i grandi porti marini: Shilal, Wedmah, Siana, Tarkar, e
Noonos con le sue torri incastonate di pietre preziose.
Poi vidi le città fortificate del continente della Necranalia, prima fra
tutte la capitale Necranal, costruita sopra, intorno ed entro
un'immensa montagna, con in vetta il palazzo scintillante dei Re
Guerrieri.
E cominciai a ricordarmi di come, sul fondo della mia coscienza, io
avessi udito una voce che ripeteva incessantemente: Erekosë,
Erekosë, Erekosë...
I Re Guerrieri di Necranal erano da duemila anni i sovrani di
un'umanità unita, poi divisa da guerre, poi unita di nuovo. Dei Re
Guerrieri, Rigenos era l'ultimo. Invecchiava, ormai, e aveva soltanto
una figliola, Iolinda, per perpetuare la sua vecchia stirpe.
Invecchiava nell'odio, nell'odio si logora-va, e continuava a odiare.
Odiava le genti inumane chiamate Mastini del Male: nemici antichi
dell'uomo, crudeli e selvaggi. Legati alla razza umana - si diceva - da
un sottile filo di sangue, in quanto frutto dell'unione fra un'antica
Regina e Azmobaana il Malvagio. Re Rigenos li odiava in quanto
immortali ma senz'anima, schiavi obbedienti delle macchinazioni di
Azmobaana.
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