I riti dell’infinito – Michael Moorcock

SINTESI DEL LIBRO:
Nel linguaggio del professor Faustaff, quel mondo si chiamava Terra
3.
Il professore guidava la sua Buick, una decappottabile rosso fiamma,
sull'autostrada sconnessa che traversava il deserto morto. Stringeva
il volante con cautela estrema, come il capitano di una goletta
costretto a superare infidi banchi di sabbia.
Il deserto si stendeva in ogni direzione, immenso e vuoto, arido e
desolato sotto i raggi intensi del sole allo zenit nel cielo d'un blu
metallico. Su quella Terra parallela, praticamente c'erano soltanto
deserti e oceani, distese piatte che sfumavano l'una nell'altra.
Il professore, che da solo occupava più di un sedile, canticchiava
sotto-voce. La luce del sole faceva luccicare le goccioline di sudore
sul suo viso rosso, batteva sulle lenti dei suoi occhiali polaroid e
rendeva scintillanti gli angoli della Buick non ancora sommersi dalla
polvere del deserto. Il motore ruggiva come un animale selvatico, e il
professor Faustaff, automaticamente, canticchiava seguendone il
ritmo.
Indossava una camicia hawaiana, calzoncini da spiaggia color oro,
un paio di scarpe da ginnastica logore, e un berretto da giocatore di
baseball.
Pesava almeno centoventi chili ed era alto più di un metro e
novanta. Un uomo grosso. Guidava con la massima concentrazione,
però il suo corpo era completamente rilassato e la sua mente
serena. Lì, come in più di un'altra dozzina d'ambienti, si trovava a
proprio agio. Ovviamente, l'ecologia di quella Terra non poteva
bastare a mantenere in vita la razza umana. Erano il professor
Faustaff e il suo gruppo a provvedere agli uomini, lì e su tutti gli altri
mondi paralleli, tranne due. Una grossa responsabilità, che il
professore affrontava con una certa serenità.
Aveva lasciato la capitale della Grande America, Los Angeles, ormai
da due ore. Era diretto a San Francisco, sede del suo quartier
generale su quella Terra alternativa. Sarebbe arrivato il giorno dopo.
Contava di fermarsi lungo la strada a un motel che conosceva,
trascorrervi la notte, e ripartire in mattinata.
D'improvviso, guardando avanti, Faustaff scorse a lato
dell'autostrada quella che sembrava una figura umana. Giunto più
vicino, scoprì che si trattava di una ragazza. Indossava solo un
costume da bagno e agitava la mano. Il professore rallentò. La
ragazza era una rossa graziosa, coi capelli lunghi e diritti, il naso ben
modellato, il viso cosparso di lentiggini. La bocca era grande, bella.
Faustaff fermò la macchina all'altezza della ragazza.
«Guai?».
«Un camionista mi ha offerto un passaggio fino a 'Frisco. Mi ha
scarica-ta perché non volevo andare a divertirmi con lui tra i cactus».
La voce era dolce, un tantino ironica.
«Ma non ha pensato che potevi crepare prima che passasse
qualcuno?».
«Forse non gli sarebbe dispiaciuto. Era arrabbiatissimo».
«Dai, salta su». A Faustaff piacevano parecchio le ragazze, e quella
rossa gli pareva straordinaria. Quando lei si accomodò sul sedile al
suo fianco, il ritmo del respiro del professore aumentò. Lanciò
un'occhiata alla ragazza: il viso di lei sembrò assumere
un'espressione più seria, ma non ci fu nessun commento.
«Mi chiamo Nancy Hunt», disse la ragazza. «Sono di Los Angeles. E
tu?».
«Professor Faustaff. Vivo a San Francisco».
«Un professore... Non hai l'aria del professore. Sembreresti di più un
uomo d'affari, ma poi no... Un pittore, forse».
«Temo di dover confessare che sono un fisico, un fisico tuttofare, per
così dire». Le sorrise, e lei gli restituì il sorriso. Gli occhi della
ragazza s'il-luminarono. Come tante altre donne, cominciava già a
subire il fascino prepotente di Faustaff. Faustaff accettava la cosa
come un fatto normale.
Non si era mai preoccupato di capire il perché del suo straordinario
successo in amore. Forse, il motivo stava nel fatto che lui adorava
fare l'amore senza porsi problemi, e che le donne gli piacevano
parecchio. Un'indole gentile, un disinvolto apprezzamento di tutti i
piaceri della carne, un carattere che non chiedeva sostegno a
nessuno: erano quelle, probabilmente, le basi del successo di
Faustaff con le donne. Sia che mangiasse, bevesse, fumasse,
facesse l'amore, parlasse, inventasse, aiutasse gli altri o comunque
dispensasse piacere, Faustaff lo faceva con una tale spontaneità,
con una tale rilassatezza, che inevitabilmente la maggioranza delle
persone se ne sentiva attratta.
«Cosa vai a fare a 'Frisco, Nancy?», gli chiese il professore.
«Oh, mi è venuta voglia di viaggiare. Stavo con un gruppo di amici,
mi sono stufata, sono uscita in strada e ho visto arrivare un camion.
Ho fatto l'autostop e ho chiesto all'autista dove andava. Lui ha
risposto 'Frisco, così ho deciso di andare a 'Frisco».
Faustaff ridacchiò. «Un tipo impulsivo. Mi piace la gente impulsiva».
«Il mio ragazzo dice che sono deprimente, non impulsiva», sorrise
lei.
«Il tuo ragazzo?».
«Be', ormai è il mio ex ragazzo, penso. Si è svegliato, si è messo a
sedere sul letto e mi ha detto: "Se non mi sposi, Nancy, me ne
vado". Io non volevo sposarlo, e gliel'ho detto. Se n'è andato». Rise.
«Era un caro ragazzo».
L'autostrada continuava a snodarsi in quel mondo distrutto. Faustaff
e Nancy non smisero di parlare, finché a un certo punto, in modo del
tutto naturale, si strinsero più vicini, e Faustaff mise un braccio
attorno alle spalle della ragazza, l'attirò a sé, e più tardi la baciò.
Nel tardo pomeriggio, erano tutti e due rilassati e contenti di godersi
in silenzio la reciproca presenza.
La decappottabile continuava a correre: le ruote giravano, i pistoni
sali-vano e scendevano, la carrozzeria vibrava, c'era odore di
benzina, la sabbia si ammucchiava sul parabrezza, e nel cielo blu il
sole era alto. Il deserto enorme, scintillante, si stendeva per
centinaia di chilometri in ogni direzione. Gli unici punti di riferimento
erano le stazioni di servizio e i motel lungo le rare autostrade, le
mesas e i gruppi di cactus che apparivano a tratti. Solo la città di Los Angeles, esattamente al centro del deserto, si
trovava sulla terraferma. Tutte le altre città, come San Francisco,
New Orleans, Saint Louis, Santa Fe, Jacksonville, Houston e
Phoenix, sorgevano sulla costa. Un visitatore proveniente da un'altra
Terra non avrebbe riconosciuto il profilo del continente americano.
Il professor Faustaff non smise di canticchiare fra sé, sempre attento
a evitare le buche della strada o i punti in cui si erano formati grossi
accu-muli di sabbia.
Il suo canto e la sua pace furono interrotti da un ronzio che
proveniva dal cruscotto. Lanciò un'occhiata alla ragazza e, con una
scrollata di spalle, prese una decisione. Infilò la mano nel cassettino
del cruscotto e fece scat-tare l'interruttore che vi era nascosto. Dalla
radio uscì una voce calma, che però aveva toni d'urgenza.
«'Frisco chiama il professor F. 'Frisco chiama il professor F».
«Professor F in ascolto», rispose Faustaff, riducendo un po' la
velocità.
Nancy uscì in una smorfia.
«Cos'è?», gli chiese.
«Oh, è solo la radio. Mi serve per tenermi in contatto con i miei
collaboratori».
«Pazzesco», disse lei.
«Vi ricevo», disse Faustaff. «Faccio presente che ci troviamo in
Condizione C». In quel modo, aveva avvertito la base che con lui
c'era qualcuno.
«Roger. Due cose. Riteniamo imminente una situazione M.I. su T 15,
coordinate 33, 34, 41, 42, 49 e 50. I nostri rappresentanti su T 15
hanno chiesto aiuto. Proponiamo di usare l'effetto-E per entrare in
contatto».
«È una cosa così catastrofica?».
«Da quello che ci hanno raccontato, sì».
«Okay. Provvederò appena possibile. Ma avevi parlato di due cose».
«Abbiamo scoperto un tunnel, o tracce di un tunnel. Non è nostro.
Pensiamo che sia delle Squadre D. Il loro uomo dovrebbe trovarsi
dalle sue parti. Volevamo avvisarla».
Faustaff si chiese d'improvviso se Nancy non lo avesse ingannato.
Lanciò un'occhiata alla ragazza.
«Grazie», rispose. «Domani sono a 'Frisco. Tienimi informato di
eventuali emergenze».
«Okay, professore. Chiudo».
Faustaff infilò di nuovo la mano nel cassettino del cruscotto,
interruppe il contatto.
«Puà!», sorrise Nancy. «Se era un assaggio del tipo di linguaggio
che piace a voi fisici, sono contenta di aver studiato solo l'esperanto,
a scuola».
Faustaff sapeva che avrebbe dovuto non fidarsi troppo della
ragazza, ma proprio non riusciva a considerarla pericolosa.
I suoi collaboratori di San Francisco ricorrevano alla radio solo per le
cose importanti. Gli avevano detto che sulla quindicesima e ultima
Terra parallela era imminente una Situazione Materia Instabile, il che
poteva si-gnificare la distruzione completa di un pianeta.
Normalmente, i rappresentanti del suo gruppo su un determinato
mondo erano in grado di affrontare una S.M.I. Se gli avevano chiesto
aiuto, voleva dire che le cose avevano preso una brutta piega. Tra
un po' Faustaff avrebbe dovuto lasciare da qualche parte la ragazza
e usare la macchina che aveva nel bagagliaio dell'auto. La macchina
era un «evocatore», cioè un apparecchio capace di far giungere,
attraverso i livelli subspaziali, un uomo di Faustaff fin lì, in mo-do che
il professore potesse parlargli direttamente e scoprire cosa stava
succedendo su Terra quindici. La seconda informazione riguardava i
suoi nemici, le misteriose Squadre D, che Faustaff riteneva
responsabili dello scatenarsi di ogni Situazione M.I. Un membro (o
anche più membri) delle Squadre D si trovava già su quella Terra, e
forse cercava proprio lui. Ecco il motivo per cui avrebbe dovuto
sospettare di Nancy Hunt e procedere con cautela. Dopo tutto, la
sua apparizione sull'autostrada era misteriosa, per quanto lui fosse
portato a credere alla storia che gli aveva raccontato.
Nancy gli sorrise di nuovo, gli infilò la mano nel taschino della
camicia, tirò fuori sigarette e accendino, gli mise una sigaretta tra le
labbra. Per ac-cenderla, Faustaff fu costretto a chinare il suo testone
sulla fiamma.
Al sopraggiungere del tramonto, quando il sole incendiava il cielo di
mille colori, apparve l'insegna pubblicitaria di un motel. Diceva: LA
PLEJ BON AN MOTELON
Nagejo- Muziko- Amuzoj
Poco dopo, intravidero il motel e un altro cartellone.
«PLUV AT A MORGAU»
Bonvolu esti kun ni
Faustaff leggeva piuttosto bene l'esperanto. Era la lingua ufficiale,
anche se poche persone se ne servivano nella vita quotidiana. I
cartelloni reclamizzavano il migliore dei motel, con piscina, musica e attrazioni
varie. Lo spiritoso nome del motel era «Domani la pioggia», e il
proprietario invita-va tutti a fermarsi.
Diversi tabelloni più oltre, uscirono dall'autostrada ed entrarono nel
parcheggio del motel. All'ombra del tendone erano ferme solo due
macchine.
Una era una Ford Thunderbird nera, l'altra una M.G. bianca. Quando
loro due scesero dall'auto, un po' intirizziti, si videro venire incontro
una ragazza graziosa con un tutù da ballerina e un cappellino a
punta: la sua uniforme di lavoro, evidentemente.
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