Uno Chef Milionario – Olivia Spencer

SINTESI DEL LIBRO:
Da sette giorni il super yacht Fascino Latino sostava
immobile, a qualche centinaio di metri al largo di
English Arbour, sulla costa sud dell’isola di Antigua. Una
permanenza insolitamente lunga e anomala in quel
periodo dell’anno e in quella parte dei Caraibi, con il
tempo delle piogge in anticipo di almeno due settimane.
Tempo sbagliato, luogo sbagliato.
Lo yacht ammiraglio della flotta Farnese avrebbe già
dovuto essere lontano da lì da almeno dieci giorni,
pronto a iniziare la stagione europea del turismo d’élite,
scorrazzando per il mar Mediterraneo, oppure attraccato
al largo di Ibiza, della Sardegna, o delle isole greche.
E invece no. Da giorni il comandante non accennava
ancora a dare l’ordine di levare le ancore.
Quella mattina, i grandi nuvoloni neri che
promettevano un nubifragio con i fiocchi sembravano
competere con l’umore dell’imponente figura che, sin
dalle prime luci dell’alba, si muoveva senza sosta nella
fitness room privata, all’interno della lussuosa suite
padronale.
Il giovane uomo, furibondo in modo inequivocabile,
stava combattendo un duello serrato contro il sacco da
boxe e, durante i brevi intervalli per riprendere fiato, egli
sbraitava imprecazioni in lingua italiana, talmente
colorite che la maggiore parte degli abitanti del Bel
Paese se ne sarebbe di certo scandalizzata.
«Un idiota completo!» esclamò infine, in un inglese
composto, dal marcato accento dell’ upper class
newyorkese, quasi che quella lingua fosse per lui inadatta
al turpiloquio, che invece fluiva così perfetto nell’altro
idioma «Sono stato un assoluto idiota!» ripeté.
Stremato dall’intensa attività fisica, il gigante
muscoloso si tolse rabbiosamente i guantoni, lasciandosi
cadere sulla panca per gli addominali, facendo una serie
di lunghi respiri per recuperare l’ossigeno. Accostò la
bocca alla bottiglietta dell’acqua, gustandosi il refrigerio
e rabbrividendo per quelle gocce di liquido fresco che,
mancando l’obiettivo, si andavano a incastrare tra i
riccioli neri del petto possente.
Era un sollievo necessario per le sue membra
affaticate, benché avere del tempo per pensare non fosse
salutare per lui in quel momento.
Prevedibilmente, dopo poco, egli fu travolto da una
nuova ondata di collera, corrosiva e bruciante come
acido, che l’obbligò a riprendere l’unica via di sfogo
accessibile. Irritato, con un movimento brusco l’uomo
gettò da parte la bottiglietta e con un balzo si rimise in
piedi, riprendendo ad avventarsi contro il sacco. Il suo
stato d’animo ancora più nero era misurabile
nell’esasperato tenore delle invettive.
Trascorsa un’altra ora, l’uomo si fermò, stremato, le
gocce di sudore che brillavano come una cascata di
diamanti sui pettorali scolpiti. Prese un asciugamano e se
lo tamponò sul viso e sul petto, emettendo un lungo
sospiro di sconforto, poi se lo avvolse attorno al collo e si
distese a terra, sul lucido legno.
Era esausto. E tuttavia ancora irrequieto.
Nulla, nulla, dall’alba di quell’uggiosa mattina caraibica
di tre giorni addietro, riusciva a fare sbollire la sua ira.
Imprenditore visionario, chef di fama mondiale,
affascinante playboy cresciuto tra Italia, Francia e Stati
Uniti, egli era diventato una star televisiva e
multimilionario all’età di soli venticinque anni e ora era
proprietario di un impero che comprendeva lussuosi
alberghi, resort, ristoranti e una flotta di super-yacht
destinati al turismo d’élite.
Nonostante tutti i suoi successi, Pier Paolo Farnese
quel giorno si sentiva un perdente e non se ne dava pace
da quasi settantadue ore.
«Come ho potuto?» si aggredì «Come ho potuto non
rendermi conto che sotto quell’affettato comportamento
da aristocratico inglese si celava un subdolo truffatore?»
borbottò un paio d’imprecazioni in italiano, oramai
edulcorate dalle ore di faticoso esercizio e,
probabilmente, anche dall’avere già esaurito buona parte
del suo repertorio «Due anni!» tuonò, gli occhi fissi al
soffitto, insensibile al bruciore della pelle sudata che, a
ogni suo movimento, cercava di scollarsi dal pavimento
«Sono stato cieco per tutto quel tempo, mentre il
farabutto gonfiava le fatture dei fornitori,
avvantaggiandosi della differenza che loro stessi gli
passavano sottobanco!» fece una smorfia «Come si può
essere così ingenui?» si biasimò di nuovo.
Le ire di Farnese erano dirette a William Colton
Howard, ex responsabile degli eventi del Fascino Latino,
lo yacht ammiraglio della flotta del Farnese Group. Tre
giorni addietro, dopo lo sbarco a Miami, l’uomo si era
volatilizzato: doveva avere intuito che il cerchio dei
sospetti gli si stava stringendo attorno, come un cappio.
Sarebbero state sufficienti ancora poche ore, le prove
erano già state consegnate: una volta arrivati ai Caraibi,
gli investigatori della Royal Police Force di Antigua e
Barbuda lo avrebbero arrestato per truffa perpetuata per
oltre due anni ai danni del Farnese Group.
«Una persona di assoluta fiducia!» commentò
sarcastico Farnese «E invece era solo un cialtrone ben
vestito, ecco cos’era!» un’espressione di disgusto si
dipinse su quel volto perfetto, che da anni i tabloid di
tutto il mondo amavano collocare al centro della pagina
mondana «Come se egli non fosse stato retribuito più
che profumatamente per organizzare le giornate di
divertimento degli ospiti!» sbottò di nuovo,
massaggiandosi le nocche doloranti.
Un tocco garbato alla porta della suite lo sottrasse
all’impulso di dare sfogo alla sua profonda irritazione
devastando l’intera area fitness della lussuosa suite.
Deciso a non rispondere, Farnese si alzò, prese un altro
asciugamano fresco e se l’appoggiò sul petto,
abbandonandosi sopra al morbido materasso che
ricopriva la chaise-longue di plastica fluo. Quella seduta
era stata disegnata da un artista famoso, come tutto il
resto dell’arredo d’altra parte: il Gruppo Farnese era
famoso per il lusso col quale accoglieva i milionari di
tutto il mondo che desideravano trascorrere una vacanza
o un meeting di lavoro, circondati da un’atmosfera che
andava oltre ogni immaginabile raffinata sontuosità.
Farnese alzò gli occhi davanti a sé, stentando a
riconoscendosi nel riflesso rimandato dallo specchio che
rivestiva l’intera parete: occhi iniettati di sangue, capelli
scarmigliati, labbra tirate, barba lunga. Come hai fatto a
ridurti così, Farnese?, s’interrogò. Era abituato a sollevare
pesi e massacrarsi per ore contro il sacco da boxe, per
farsi passare le sue crisi d’ira. Ma da tre giorni nulla
riusciva a dissolvere la cappa di frustrazione che era
calata su di lui dopo la fuga di Howard
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