Io sono vivo, voi siete morti – Emmanuel Carrère

SINTESI DEL LIBRO:
Il 6 dicembre 1928, a Chicago, Dorothy Kindred in Dick
diede alla luce una coppia di gemelli, prematuri di sei
settimane ed entrambi molto gracili. Li chiamò Philip e
Jane. Non aveva latte a sufficienza per entrambi, e nessuno,
né un parente né un medico, le suggerì di integrare le
poppate con il biberon, sicché nelle prime settimane lasciò
patire la fame ai bambini – per ignoranza, a quanto pare. Il
26 gennaio Jane morì.
Fu sepolta nel cimitero di Fort Morgan, in Colorado, dove
viveva la famiglia del padre. Sulla lapide, accanto al nome
di battesimo della bambina, i genitori fecero incidere quello
del fratello sopravvissuto, con la sola data di nascita
seguita da uno spazio bianco. Poco tempo dopo i Dick si
trasferirono in California.
Nelle rare fotografie di famiglia Edgar Dick ha il viso
affilato e indossa un abito a doppio petto e un cappello di
feltro che ricordano quelli degli agenti dell’FBI nei film sul
Proibizionismo. E in effetti era davvero un funzionario
federale, ma presso il ministero dell’Agricoltura. Il suo
compito consisteva nel verificare le dichiarazioni degli
allevatori sui capi di bestiame abbattuti, ed eventualmente
procedere lui stesso agli abbattimenti: gli allevatori
avevano diritto a un premio per ogni animale ucciso, e
naturalmente le frodi erano all’ordine del giorno. Così
Edgar, al volante della sua Buick, girava per le campagne
impoverite dalla Grande Depressione, tra contadini cenciosi
e diffidenti, che talvolta gli sventolavano rabbiosamente
sotto il naso il topo che stavano arrostendo su un braciere
di fortuna. Durante queste peregrinazioni il suo unico
motivo di conforto erano gli incontri con qualche altro
reduce. Arruolatosi volontario, aveva riportato dalla guerra
in Europa una serie di ricordi eroici, il grado di sergente e
una maschera antigas, che un giorno tirò fuori dalla
custodia per divertire il figlioletto di tre anni. Phil però non
si divertì affatto. Di fronte a quegli occhi tondi e opachi, a
quella proboscide di gomma nera che penzolava con aria
sinistra, si mise a urlare terrorizzato, convinto che un
mostro, un insetto gigantesco, avesse preso il posto di suo
padre. Per settimane continuò a scrutarne il viso ritornato
normale, cercando e temendo di cogliere altri segni di
trasformazione. Carezze e moine non facevano che
accrescere la sua diffidenza. In seguito a questo incidente,
Dorothy, che aveva le sue teorie sull’educazione dei figli,
prese ad alzare gli occhi al cielo soffiando rabbiosamente
aria dalle narici ogni volta che incrociava lo sguardo
mortificato del marito.
Quando, di ritorno dal fronte, Edgar l’aveva sposata, la
gente diceva che assomigliava a Greta Garbo. L’età e gli
acciacchi l’avrebbero trasformata in una sorta di
spaventapasseri destituito di ogni sensualità, ma comunque
capace di un certo fascino autoritario. Lettrice bulimica,
Dorothy divideva l’umanità in due gruppi: quelli che si
dedicano a un’attività creativa e quelli che non lo fanno. E,
poiché le pareva inconcepibile che esistessero persone
realizzate al di fuori della prima categoria, passò tutta la
vita in una sorta di bovarismo puritano, rigorosamente
intellettuale, senza mai riuscire a sfondare la porta di
quello che, ai suoi occhi, era il circolo eletto degli autori
pubblicati. Disprezzava il marito che – questioni militari a
parte – si interessava solo al football. Edgar cercò di
trasmettere questa passione a Phil portandolo allo stadio
all’insaputa della madre, ma il bambino, solidale con lei
anche quando era convinto di disobbedirle, trovava
incomprensibile che degli adulti si agitassero tanto dietro a
un ridicolo pallone.
La sua infanzia assomiglia a quella del Lužin di Nabokov
o a quella di Glenn Gould, suo contemporaneo e per certi
versi suo cugino spirituale: bambini grassocci e
imbronciati, che hanno tutte le carte in regola per
diventare campioni di scacchi o pianisti prodigio. Gli adulti
lodavano il suo comportamento tranquillo e il suo precoce
interesse per la musica. Il gioco che preferiva era
nascondersi in vecchi scatoloni e restarci per ore in
silenzio, al riparo.
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