Le conseguenze dell’odio: I casi dell’ispettore Lynley – Elizabeth George

SINTESI DEL LIBRO:
Siccome stavano andando a Marrakech per un weekend soltanto,
Lily Foster pensò che sarebbe bastata una valigia, e anche piccola.
Che cosa si dovevano portare, in fondo? A Londra pioveva e faceva
freddo da metà novembre, ma in Nordafrica sarebbe stato diverso.
Avrebbero passato gran parte del tempo in piscina e per il resto si
sarebbero chiusi in camera a farsi le coccole, attività che non
richiedeva vestiti.
Impiegò meno di dieci minuti a preparare i bagagli: sandali,
pantaloni leggeri e una T-shirt per William. Sandali, un abitino
aderente e una sciarpa per lei. Costumi da bagno per entrambi e
pochi altri oggetti essenziali. Stop. Poi cominciò l’attesa che sarebbe
dovuta durare meno di mezz’ora, stando all’orologio di plastica sopra
i fornelli, e invece si protrasse per oltre due ore, durante le quali Lily
messaggiò ripetutamente William senza ricevere alcuna risposta.
Solo la sua bella voce che recitava: «Dite e vi sarà detto». Gli lasciò
un messaggio: «Dove sei, William? Credevo che il lavoro fosse qui
vicino, a Shoreditch. Come mai sei ancora in giro con questo tempo?
Appena ascolti la segreteria chiama, okay?»
Andò alla finestra. Piovigginava e il cielo era buio e rabbioso,
pieno di nuvoloni carichi. Quel condominio era triste anche con il bel
tempo: palazzoni di mattoni luridi sparsi su una distesa piatta,
percorsa da sentierini di asfalto pieni di crepe che i residenti
evitavano, preferendo camminare attraverso il mosaico di prati
rinsecchiti. Con il brutto tempo sembrava una trappola mortale, dove
a morire era la speranza. Lei e William meritavano di meglio, Lily ne
era convinta. E se lei soffriva ad abitare lì, per William era una vera e
propria tortura. Per il momento, tuttavia, non potevano permettersi
altro. Dovevano portare pazienza e aspettare che la sua attività si
espandesse e quella di Will decollasse.
Il lavoro di William, in effetti, era un tasto dolente. Attaccava di
continuo briga con i clienti, un atteggiamento che in genere non
piace alla gente che ti sta pagando.
«Non puoi non tenere conto del loro punto di vista», gli diceva Lily.
«Mi intralciano. Non riesco a concentrarmi, se stanno lì a
blaterare. Perché non ci arrivano? Eppure lo metto in chiaro fin dal
principio.»
Sì, certo, pensava Lily. Ma dirlo apertamente era parte del
problema. Bisognava che William la smettesse.
Lily corrugò la fronte guardando la strada. Sperava di vedere
William correre sotto la pioggia, con il bavero alzato, verso la torretta
che ospitava l’ascensore del loro palazzo, ma in giro non c’era
nessuno. Solo una donna sul balcone del palazzo vicino, intenta a
ritirare il bucato con indosso un sari giallo sferzato dal vento. Sugli
altri balconi, la sconfortata biancheria stesa, le poche piante
malaticce, i giocattoli dei bambini e le onnipresenti parabole
satellitari dovevano cercare da soli di difendersi dal maltempo.
Attraverso il vetro giungevano sommessi i rumori incessanti della
città: pneumatici su una curva presa troppo velocemente,
sferragliare di cantieri invisibili ma vicini, sirene di ambulanze e il
tump-tumka-tump di un basso a volume troppo alto a testimoniare i
gusti musicali di un vicino.
Lily mandò un altro sms a William. Dopo due minuti, non avendo
ricevuto risposta, riprovò a chiamare. «William, è impossibile che tu
non riceva i miei sms... A meno che... Non avrai silenziato di nuovo il
telefono, vero? Lo sai che mi dà fastidio! È importante. Preferirei non
dirtelo... Uffa, uffa, uffa! Senti, ti ho fatto una sorpresa per il nostro
anniversario. Mi dirai che dieci mesi non sono un anniversario e sì,
lo so, ma non è il caso di sottilizzare. Questa sorpresa implica che
dobbiamo essere in un certo posto a una certa ora e quindi, se non
mi stai rispondendo volutamente, vedi di richiamarmi. Okay?»
Non restava che aspettare. Lily guardò scorrere i minuti dicendosi
che c’era tutto il tempo per arrivare a Stansted. William non doveva
far altro che entrare dalla porta, al resto aveva già pensato lei:
infilare i passaporti nella borsa, stampare i biglietti e pianificare tutto
quello che bisognava fare per andare all’estero anche soltanto per
un weekend.
Si rese conto che sarebbe stato meglio dirglielo quella mattina.
William però era di pessimo umore perché il lavoro di Shoreditch non
stava andando come avrebbe voluto e lei aveva preferito non
interrompere le sue lamentele. I clienti lo facevano diventare matto,
volevano sempre e comunque dire la loro, anche se lui proponeva
soluzioni stupende, che avrebbero funzionato meravigliosamente.
Perché si rivolgevano a un esperto, se sapevano già tutto? E William
era decisamente un esperto, e in più era un creativo, un artista e un
gran lavoratore, capace di trasformare in un angolo di paradiso
anche una selva di erbacce.
Quando finalmente Lily vide la sua vecchia Fiesta spuntare da
Heneage Street, lo stava aspettando da quattro ore e il weekend a
Marrakech era saltato. I soldi erano andati, loro erano bloccati lì e
Lily aveva voglia di dare la colpa a qualcuno.
Dov’era stato? Che cosa aveva fatto? Perché non aveva risposto
al telefono? Se lui le avesse risposto – non le sembrava una pretesa
eccessiva – gli avrebbe detto della sorpresa, si sarebbero potuti dare
appuntamento direttamente in aeroporto e a quell’ora sarebbero stati
felici e contenti su quello stupido aereo, diretti verso il sole e una
vacanza di puro piacere.
Guardò William scendere dalla macchina con la furia che le
montava dentro. Stava già scegliendo le parole da dirgli. In cima alla
lista c’erano sconsiderato e irriguardoso. Poi però, mentre passava
sotto un lampione, vide la sua espressione, notò la piega sconsolata
delle spalle, il modo in cui camminava verso l’ascensore nel buio.
Pensò: Oh, no! William doveva aver perso il cliente, il secondo in tre
mesi. Due progetti, finiti entrambi con l’acredine, la rabbia e le
recriminazioni da parte di William e, da parte dei clienti, con la
richiesta di vedersi restituire il consistente anticipo, in gran parte già
speso in materiale.
Lily osservò William guadare il buio fra un lampione e l’altro e poi
scomparire. Prese la valigia e andò a nasconderla sotto il letto.
Mentre tornava in salotto, sentì girare la chiave, vide la porta aprirsi
e corse a sedersi sul divano sfondato. Si fece trovare con lo
smartphone in mano, intenta a controllare la posta elettronica. Il
«Buon viaggio, tesoro!» di sua madre non contribuì a risollevarle il
morale.
Will la vide subito, com’era inevitabile dato che l’appartamento era
minuscolo, e abbassò gli occhi. Poi li rialzò e Lily notò che si
spostarono da lei al cellulare. Le disse: «Scusa».
«Ho provato a telefonarti e ti ho mandato degli sms, William.»
«Lo so.»
«Perché non mi hai risposto?»
«Ho rotto il telefono.»
Aveva lo zaino. Per dimostrare che le aveva detto la verità, aprì la
cerniera e rovesciò il contenuto per terra. Il cellulare cadde, lui lo
raccolse e lo porse a Lily. Era completamente distrutto.
«Ci sei passato sopra con la macchina o qualcosa del genere?»
gli chiese.
«L’ho spaccato con una pala.»
«Ma...»
«Continuavi a... Non lo so, Lily. Non potevo rispondere ma tu
insistevi... Suonava e trillava ogni due per tre, oltre a tutto il resto. Mi
sembrava che mi stesse scoppiando la testa. Non avevo altra
scelta.»
«Cos’è successo?»
Will lasciò le proprie cose sparpagliate per terra e si avvicinò alla
poltrona. Quando vi si accasciò, lei ne approfittò per guardarlo
meglio. Sbatteva furiosamente le palpebre, come faceva sempre
quando le cose si mettevano male.
«Così non va», disse.
«Che cosa?»
«Tutto. Io, ’sto benedetto lavoro. Non vado bene. Non va bene
niente. Punto e basta.»
«Hai perso i clienti di Shoreditch?»
«Secondo te? Sempre la stessa storia, perdo tutto, no? Le chiavi
della macchina, i quaderni, lo zaino, i clienti... Anche te, Lily, e non
negarlo. Perché ti sto perdendo, lo so benissimo. Era questo che mi
volevi dire, vero? Tutte quelle chiamate e quei messaggi erano
perché volevi fare quello che fanno tutti quanti. Piantarmi. Non è
così?»
Sbatteva le palpebre sempre più velocemente. Lily capì che
doveva calmarlo. Se si spingeva troppo in là su quella strada,
calmarlo sarebbe stato pressoché impossibile. «Veramente volevo
portarti a Marrakech. Avevo trovato un albergo a prezzo stracciato,
con piscina e tutto. Volevo farti una sorpresa e avrei dovuto dirtelo
stamattina, se non proprio la destinazione, almeno che partivamo,
ma avevo paura di... Vabbè, lasciamo perdere.» Poi aggiunse, con
scarsa convinzione: «Pensavo che ci saremmo divertiti».
«Non possiamo permetterci una vacanza.»
«Mi ha prestato i soldi mia madre.»
«Quindi adesso i tuoi genitori sono al corrente della situazione?
Sanno che sono un fallito? Che cosa gli hai detto?»
«Ho parlato solo con mia madre. Non le ho detto niente e lei non
mi ha fatto domande. Mia madre non è invadente, William. Non si
impiccia.» A differenza della tua. Lo pensò, ma non lo disse.
Lui però capì benissimo, perché mise su l’espressione diffidente
tipica di quando discutevano di sua madre. Evitò di ribattere, tuttavia,
e disse: «Avrei dovuto capirlo subito che erano dei deficienti. Ma
come al solito non sono capace di valutare le persone. Sostengono
di volere qualcosa di speciale, io so perfettamente quello che va
fatto e sono convinto che alla fine lo apprezzerebbero, se solo me lo
lasciassero fare. Invece no, pretendono disegni e schizzi, vogliono
dare la loro approvazione, richiedono scontrini e ricevute... Io non
riesco a lavorare così».
Si alzò e andò alla finestra, la stessa da cui lei aveva guardato
mentre lo aspettava. Lily non sapeva di preciso come mettergliela,
ma gli voleva dire che, se lui non riusciva a stare sotto padrone e
poteva lavorare soltanto da solo, doveva imparare a trattare con i
clienti perché altrimenti avrebbe continuato a fare buchi nell’acqua.
Gli voleva dire anche che le sue pretese erano irragionevoli, che non
poteva aspettarsi che la gente gli desse carta bianca e si fidasse
ciecamente del suo istinto creativo. E se le sue scelte non fossero
state di loro gradimento? Avrebbe voluto chiederglielo, ma non era la
prima volta che gli faceva quelle osservazioni ed erano di nuovo
daccapo.
«È Londra», disse William di punto in bianco, rivolto al vetro.
«In che senso?»
«In tutti i sensi. È colpa di Londra. La gente qui è... I londinesi
sono diversi. Non mi capiscono e io non capisco loro. Devo
andarmene. È l’unica. Non voglio farmi mantenere da te.»
Si staccò dalla finestra. Lily intuì che quella era l’espressione che
riservava ai clienti quando riteneva le loro richieste irragionevoli.
Significava che aveva preso una decisione. Nel giro di pochi
secondi, ne era certa, anche lei avrebbe scoperto qual era.
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