Un gioco da bambini – Giovanni Papini

SINTESI DEL LIBRO:
Dagli appunti del dottor Richard Greville consulente
psichiatrico della polizia metropolitana
25 agosto 1988. Da dove comincio? Dopo tutto quel che è
stato scritto sul tragico evento che i giornali di tutto il
mondo chiamano ormai concordemente “il massacro di
Pangbourne”, inizio ad avere anch’io le idee un po’ confuse.
Durante gli ultimi due mesi la TV ha trasmesso un tal numero
di servizi sulle trentadue persone uccise in quel prestigioso
complesso residenziale a ovest di Londra e sono state
avanzate un tal numero di ipotesi sulla scomparsa dei loro
tredici figli che non sembra davvero esservi spazio per
nessun’altra nuova congettura.
Ma la verità è, come mi fece capire quella mattina il
segretario del ministero degli Interni, che sull’identità e il
movente degli assassini non si sa praticamente nulla.
“Ho detto ‘assassini’, dottor Greville, ma avrei anche
potuto usare il singolare. Mi è stato infatti spiegato che un
pazzoide esperto nelle arti marziali avrebbe potuto
benissimo fare tutto da solo.” Seduto sotto il ritratto del suo
ben più illustre predecessore, il segretario scosse il capo con
aria sconsolata. “E quanto a dove siano finiti quei poveri
ragazzi,” soggiunse, “be’, è come se avessero preso il volo da
una qualche finestra e fossero svaniti nel tempo e nello
spazio. Nessuna richiesta di riscatto, o anche solo la
minaccia di ucciderli...”
Ne sembrava quasi contrariato e perciò commentai: “Be’,
penso che questo ci autorizzi a dare per scontato che sono
ancora vivi”.
“Lei crede? Per essere franco, dottore, preferirei che lei
non desse nulla per scontato. È per questo che l’ho pregata
di venire qui.”
Mi lanciò un’occhiata dubbiosa, già pentito della decisione.
Come sapevamo bene entrambi, il fatto che il ministero degli
Interni mi avesse convocato, dopo il mio impopolare
rapporto sulla strage di Hungerford, dava la misura,
piuttosto che della loro stima per me, del loro disappunto per
l’insuccesso della polizia, del CID, il dipartimento di
Investigazione criminale, e dei Servizi segreti, che tutti
insieme non erano ancora riusciti a scoprire neppure un
esile indizio circa il movente e gli autori di quell’orribile
carneficina.
Perplesso e turbato almeno quanto il segretario, non
riuscii a farmi venire in mente altro che chiedergli
l’autorizzazione a visitare il Pangbourne Village, la scena del
delitto. Il lussuoso complesso residenziale era tuttora
inaccessibile al pubblico e ai giornalisti ma era stato
ispezionato palmo a palmo da un esercito di gagliardi
investigatori. Mentre attendevo che il segretario
scribacchiasse il mio lasciapassare reggendo fra le braccia
due pesanti cartelle del ministero zeppe di schede
probabilmente inutili mi rammentai tutt’a un tratto dei
comodi sedili della sala di proiezione nel seminterrato di
Whitehall e perciò chiesi, con l’aria di chi ha avuto
un’improvvisa ispirazione, di poter visionare il film che la
polizia aveva girato nel Village poche ore dopo il massacro.
“Il video della polizia? D’accordo, ma guardi che è un
filmetto abbastanza stomachevole. È anche vero però che
dopo Hungerford lei deve averci ormai fatto lo stomaco a
questo genere di spettacoli...”
Irritato dal suo tono, fui sul punto di rinunciare. Gli alti
funzionari del ministero degli Interni mi consideravano un
originale, un guastafeste, con una deplorevole tendenza a
pensarla a modo mio e a metterli in imbarazzo con una
sconcertante scoperta dopo l’altra. Ma ripensandoci ora,
dopo tanto tempo, mentre riordino questi appunti prima di
darli alle stampe, mi rendo invece conto che fu proprio
laggiù, in quella deserta sala di proiezione, che nella mia
mente si accese il primo barlume sulle vere cause del
massacro di Pangbourne. Se non le riconobbi subito, e se nel
corso delle mie indagini appaio un po’ troppo lento
nell’identificare i colpevoli, posso dire soltanto a mia
discolpa che quel che oggi appare così evidente in quei
giorni non lo era affatto. La mia incapacità, condivisa del
resto da quasi tutti coloro che partecipavano alle indagini, a
riconoscere ciò che era ovvio, dimostra quanto fitto fosse il
mistero in cui era avvolto il massacro di Pangbourne.
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